Al secondo turno delle scorse amministrative si è affermato l’astensionismo come la vera maggioranza assoluta del Paese. Forse sarebbe il caso oltre ai trionfi, ai piagnistei e alle doverose autocritiche, di interrogarsi, a destra come a sinistra, su cosa significa questa fuga di tantissimi cittadini dal voto
Anche nell’ultima tornata elettorale abbiamo assistito alle ovvie euforie dei “vincitori” ed alle, più o meno mascherate, depressioni dei “perdenti”, ma mi pare che non si sia fatto tesoro degli esiti e dei sintomi che hanno caratterizzato le scorse regionali.
C’è un dato molto semplice da cogliere che sostanzialmente quasi tutti gli osservatori, analisti e politici non hanno colto. Larga parte dei giornalisti infatti, nel consueto gioco di specchi con la politica, sembrano sottovalutare tali dati. Già le elezioni regionali in Lazio e Lombardia avevano segnato un campanello d’allarme in quanto i votanti erano stati rispettivamente il 37,20% e il 41,20%. Per il lettore dei giornali c’è però una fatica tremenda a capire e conoscere il dato dei votanti in questa ultima tornata di elezioni amministrative: il 58,3% al primo turno e il 49,6% al secondo turno.
Ciò significa che i sindaci, le cariche sin qui declamate come le più vicine ai cittadini, non hanno il sostegno di nemmeno il 50%+1 dei cittadini. Questo dato non si ferma qui, ma ha effetti precisi anche sulle percentuali di voto per le liste dei singoli partiti. Se il meloniano di turno può vantare di aver preso il 20% pur facendo parte di una lista di FdI della sua città, si tratta sempre del 20% della metà del corpo elettorale. Una proporzione che si potrebbe applicare man mano a tutte le liste di partito. Dopo che tutti gli osservatori ed esperti hanno affermato, evidenziato ed enfatizzato, giustamente per alcuni versi, che il Comune è l’istituzione più vicina ai cittadini, che l’elezione diretta del sindaco ha spostato gli equilibri del rapporto cittadini-amministrazione in cittadini-comune, ora emerge che questo dato vale solo per il 50% del corpo elettorale… E i restanti che fanno? Come spiegare questo fenomeno dello sciopero del voto: qualunquismo puro, populismo disfattista ed avanzato, mero disinteresse?
Non credo che si tratti di qualunquismo o di populismo spinto all’estremo. Evidentemente in quella cospicua fetta di possibili elettori (vuoi che sia il 50, vuoi che sia il 60, a seconda del dato delle ultime amministrative o delle regionali), credo si debba seriamente indagare questo fenomeno, con apertura, con intelligenza e rigore, senza ricorrere a facili pregiudizi o a banali stereotipi. Oltre allo zoccolo duro, che può arrivare circa al 25% di astenuti dal voto, oltre ad una parte di cittadini che non si interessano della vita della res publica, credo che almeno un altro 25 o 30% sia sostanzialmente in fuga dall’offerta politica in atto, dal menù politico di basso profilo presentato dalle varie cucine-fucine di partito. C’è però un altro menù che raggiunge milioni di terminali, cittadini di tanti piccoli comuni o periferie di città italiane (là dove è più forte l’astensionismo).
È un menù che genera in qualche modo, anche, partecipazione politica, da cui attingono gli ingredienti pure tanti di coloro che non arrivano al voto. Che coinvolge gruppi e comitati spontanei di quartiere, associazioni di base, che magari si battono per quella o contro questa opera pubblica. Credo che non pochi di costoro preferiscano, di fronte all’offerta politica elettorale in atto, sentirsi cittadini tutti i giorni e non cittadini solo il giorno del voto come li vorrebbero fare sentire questo o quel partito e questo o quel candidato.
Nel frattempo sarebbe il caso di mettere almeno una parziale sordina sulle grida di trionfo dei vincitori e capire un dato in più da parte dei perdenti. Sono, infatti, sia i “vincitori” che i “perdenti”, in realtà, tendenzialmente e statisticamente, degli sconfitti di fronte al trionfo dell’astensionismo, che al secondo turno delle scorse amministrative si è affermato come la vera maggioranza assoluta del Paese, soprattutto perché in democrazia i voti non si pesano, ma si contano. E si contano anche alla luce di questi fattori. Forse sarebbe il caso oltre ai trionfi, ai piagnistei e alle doverose autocritiche, di interrogarsi, a Destra come a Sinistra, su cosa significa questa fuga di tantissimi cittadini dal voto.