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Chi comanda in Italia nel caso dei marò

Pubblichiamo un articolo del dossier “Disputa con l’India” di Affari Internazionali

È avvenuto che una pecora decidesse di ruggire, ma riuscisse solo a belare, e divenisse oggetto di scherno. La politica estera italiana è stata spesso accusata di doppiezza, ma nella vicenda dei marò italiani, riconsegnati all’india pochi giorni dopo l’annuncio che sarebbero rimasti in Italia, è affogata nel ridicolo.

Il successivo tentativo di metterci una pezza, sostenendo di aver voluto così ottenere la salvaguardia da una teoricamente possibile condanna a morte dei due militari ha solo peggiorato la situazione, sia perché troppo tardivo e poco credibile, sia perché, se fosse stato vero, avrebbe dovuto impedire comunque la riconsegna dei soldati. Ma come abbiamo potuto infliggerci questo disastro?

Precedente
Già c’era stata un’avvisaglia. Quando la Francia decise di intervenire contro i ribelli e i terroristi separatisti in Mali, il Parlamento italiano, sollecitato dal Governo, si espresse a favore di un appoggio concreto alle operazioni, anche senza l’invio di truppe combattenti. Eppure, sorprendentemente, nei giorni successivi il Governo decideva di non farne nulla, sostenendo che questa era la reale volontà delle forze politiche da lui consultate (fuori dal Parlamento). Un comportamento a dir poco bizzarro.

Sembra naturale dedurne che esistano all’interno del Governo diverse anime e convinzioni, in particolare sulle questioni relative alla politica estera, all’uso della forza militare e ai comportamenti che debbono conseguirne. Tuttavia, forse anche per la natura politicamente anomala di questo Governo, tali diverse convinzioni non vengono espresse e dibattute pubblicamente, né si scontrano in Parlamento, ma emergono solo indirettamente, e tardivamente, e si manifestano nelle improvvise correzioni di rotta e nella smentita delle decisioni prese in precedenza.

La cosa sembra assurda, e certamente è un danno grave per la credibilità del Paese, ma è resa possibile dalla natura scoordinata e pressoché anarchica del sistema italiano di governo. Benché il Presidente del Consiglio abbia la responsabilità di assicurare la linea politica del Governo, egli non è un Primo Ministro come in Gran Bretagna né ha i poteri del Cancelliere in Germania. La sua preminenza sui singoli ministri (le cui competenze sono definite e garantite per legge) è assicurata solo quando si esprime a nome del Consiglio. Nello stesso tempo, giorno per giorno, i singoli atti governativi, vengono in realtà preparati e decisi autonomamente dai singoli ministri, e dipende solo da loro decidere chi consultare e quando.

Premier debole
Il ruolo della Presidenza del Consiglio si è leggermente rafforzato nel tempo, sia con atti legislativi, sia (più sostanzialmente) per il ruolo crescente che il Presidente gioca in campo internazionale e all’interno dell’Unione Europea (come si desume anche dalle competenze che vengono man mano attribuite a cosiddetti ministri senza Portafoglio, cioè direttamente collegati alla Presidenza stessa). Ma il sistema resta farraginoso ed esposto ad errori e contraddizioni, in particolare quando (come in questo caso) il Presidente non è il leader indiscusso della maggioranza di governo (e non può quindi compensare la sua debolezza istituzionale con la sua forza politica).

Esistono metodi e procedure che potrebbero ovviare in larga parte a questa debolezza strutturale del Governo, ma essi non sono mai stati realmente adottati (salvo un paio di parziali tentativi rapidamente dimenticati, come accadde ad esempio durante un ormai lontano Governo Spadolini).

Si tratta di creare un sistema continuo di circolazione delle informazioni all’interno del Governo attraverso lo snodo istituzionale della Presidenza del Consiglio, in modo che il Presidente sia sempre informato in tempo reale dei comportamenti e delle scelte dei singoli Ministri e allo stesso tempo abbia a sua disposizione una struttura in grado di analizzarne le conseguenze, presentare eventuali ipotesi alternative o correttive e capace di intervenire subito per indirizzare le scelte stesse e controllarne l’attuazione.

Una tale struttura equivale in qualche misura al Consiglio per la Sicurezza Nazionale esistente negli Usa, ma presente sotto varie forme e con diverse competenze in molti altri Paesi, è situata presso la Presidenza e si avvale di strutture tecniche adeguate, quali una Sala Situazione e una Sala Operativa che, nel nostro caso, dovrebbero coincidere con il segretariato del Consiglio dei Ministri.

Non è chiaro perché una simile struttura non sia mai stata creata in Italia, al di là della volontà dei singoli dicasteri di garantirsi il margine massimo di autonomia di decisione e della sottovalutazione che quasi tutti i Presidenti del Consiglio hanno dimostrato dei benefici di un corretto e funzionante sistema informativo e decisionale. Il risultato però può a volte essere veramente deprimente, ed umiliante per il Paese.

Stefano Silvestri è direttore di Affari Internazionali.


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