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Cipro? La vera crisi europea è la disoccupazione giovanile. Parola di Ian Bremmer

In Italia, la disoccupazione giovanile è ora pari al 34%. In Germania, è l’8%. È questa la vera crisi in Europa, non quella di Cipro”.

A stilare l’elenco delle priorità non è uno dei tanti dossier di Bruxelles, come sarebbe lecito aspettarsi, ma un tweet di Ian Bremmer.

Bremmer è presidente e fondatore di Eurasia Group, società americana di punta nel settore della consulenza politica con sede a New York.

Pur vivendo in un altro continente, l’imprenditore statunitense ha però un quadro dettagliato di quanto accade nel Vecchio mondo e che gli eurocrati fingono forse di non vedere.

In Italia la disoccupazione tocca cifre record, soprattutto tra i giovani.

Secondo i dati provvisori dell’Istat, il tasso relativo alla fascia dei 15-24enni è schizzato, a gennaio, al 38,7% dal 37,1% di dicembre 2012: si tratta del dato più alto dal quarto trimestre del 1992 (inizio serie storiche trimestrali) e dal gennaio 2004 se si considerano le serie storiche mensili.

L’aumento del tasso di disoccupazione italiano ha scatenato, per l’ennesima volta, l’allarme di politica e mondo produttivo.

Tra gli under 25, le persone in cerca di lavoro sono 655mila e rappresentano il 10,8% della popolazione in questa fascia d’età. Il tasso di disoccupazione a gennaio è aumentato di 1,6 punti percentuali rispetto a dicembre 2012 e di 6,4 punti su base annua.

Nel 2012 il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto il massimo livello dal 1993 (inizio delle serie storiche annuali) schizzando al 35,3%, con un picco del 49,9% per le giovani donne del Mezzogiorno. In altri termini, una giovane su due, tra quelle che partecipano attivamente al mercato del lavoro, è disoccupata.

Finora, come detto, la risposta data da Bruxelles è stata timida, quasi inesistente. Nel budget pluriennale dell’Unione per il periodo 2014-2020 – approvato a febbraio dai capi di Stato e di governo e rispedito per ora al mittente dal Parlamento di Strasburgo – per contrastare il fenomeno ci sono sul banco circa 6 miliardi di euro, ai quali potranno accedere i Paesi con una disoccupazione giovanile oltre il 25%, quindi anche l’Italia.

Alla Penisola andrebbe una cifra quantificabile in 400 milioni di euro, forse troppo pochi.

Il problema di fondo, ad ogni modo, non sembrano i sussidi, ma un cambio di rotta che allenti le morse del rigore europeo e consenta agli stati virtuosi di tornare a investire per far ripartire l’economia. Prima che sia troppo tardi.


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