Perché il nostro deficit è schizzato al 2,9% del Pil, a un passo dalla soglia del 3% che per l’Europa resta un finis terrae oltre il quale si scatenano conseguenze terribili?
Le spiegazioni si sono concentrate su quello 0,5% che il governo imputa alla restituzione dei debiti scaduti della Pa verso le aziende. Un sacrificio giustificato, perché così si fa emergere un debito che c’è, ma non compare nelle statistiche ufficiali. E anche un modo per ridare un po’ di fiato all’economia, sotto forma di liquidità. Un atto dovuto, ma, concretamente, una delle poche misure pro sviluppo.
Quello che non è stato detto è che dietro a quel balzo del deficit c’è la spinta di altri fenomeni ben più pesanti in termini di conseguenze. In particolare un peggioramento spettacolare delle entrate.
La relazione all’aggiornamento del Def 2013 presentata al Senato lo quantifica con precisione. Ci sono state “minori entrate fiscali per 15.700 milioni per il 2013 (pari a circa 1 punto percentuale di Pil)”. Ma ci sono anche cinque miliardi di contributi sociali che sono venuti meno. Meno buste paga, meno attività economiche, meno consumi e quindi meno entrate per circa 21 miliardi.
Il saldo ne risente al punto che la precedente previsione del deficit era del 1,6% ed è balzato al 2,4%. Lo 0,8% in più, imputabile a una sottovalutazione delle conseguenze della crisi sulle finanze pubbliche. La restituzione dei crediti scaduti alle aziende peserà invece, sempre secondo le previsioni del governo, mezzo punto percentuale. Anche se – si precisa – maggiori dettagli arriveranno con il Def.
Giochiamo sul filo del 3%. Senza contare che nelle previsioni del governo c’è una posta importante che non è per nulla certa: un risparmio atteso sugli interessi del debito di 5,3 miliardi. Si prevede quindi che i tassi calino. Se non succederà sarà difficile centrare anche quel 2,9% che preoccupa la Commissione europea.