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J’accuse di Napolitano: lasciato solo dai partiti

“Dopo sette anni sto finendo il mio mandato in un modo surreale, trovandomi oggetto di assurde reazioni di sospetto e dietrologie incomprensibili, tra il geniale e il demente…”.

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in un colloquio con il Corriere della Sera ammette di trovarsi nel “momento peggiore del settennato” e recrimina di sentirsi “lasciato solo dai partiti” dopo le polemiche suscitate dalla scelta di convocare un doppio comitato di specialisti incaricati di “formulare precise proposte programmatiche” in grado di divenire “in varie forme oggetto di condivisione da parte delle forze politiche”.

La scelta degli esperti

Una scelta, riflette il capo dello Stato con il quirinalista del Corriere, Marzio Breda,, che è stata travisata e criticata in modo ingiusto. Quel giorno – ecco la sua ricostruzione – ha pregato due gruppi di persone, diverse tra loro ma con alcune caratteristiche di competenza o istituzionali, di fare una specie di “quadro sinottico” di problemi da affrontare, tenendo conto delle posizioni che si sono espresse finora o aggiungendovi ciò che vorranno… Aveva in mente, insomma, un lavoro istruttorio che puo’ facilitare il successivo compito per la formazione del governo.

L’assenza delle donne

Anche sulla controversa assenza delle donne tra i consulenti da lui messi insieme “con acrobatiche ricerche”, va considerato che il capo dello Stato ha inserito i presidenti delle commissioni speciali che si sono costituite alla Camera e al Senato e che, sebbene certo gli dispiaccia che in quelle commissioni non vi sia una donna, non poteva farci niente.

La questione delle dimissioni
Anche qui, dal suo punto di vista, “si sfiora il ridicolo”. Poi la riflessione affronta il delicato tema delle dimissioni: perché non le ha date? La risposta, benché già riassunta nella nota che il presidente ha letto sabato al Quirinale, e’ la seguente: ha deciso di restare al suo posto per garantire un elemento di continuità. Se si fosse limitato alle risultanze degli ultimi colloqui che aveva avuto, avrebbe dovuto riconoscere: “Sono conclusioni che fanno disperare della possibilità di governare questo Paese”.

La paralisi

In definitiva, le sue dimissioni, che sarebbero state ampiamente motivate dalla paralisi nella quale si venuto a trovare (non poter dare alcun incarico, non poter formare alcun governo, non poter sciogliere) avrebbero contraddetto l’impegno di offrire un impulso di “tranquillità”. Di dare la sensazione che “lo sforzo continua”. Di confermare l’impianto del suo settennato, ispirato a “dare agli italiani un senso di comunità e di unità”.

L’articolo completo del Corriere si può leggere qui.



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