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La settimana (cruciale) che attende l’Ilva di Taranto

Sono giorni cruciali per l’Ilva di Taranto e per l’industria meccanica italiana che dipende dalle sue forniture. Domenica 7 aprile infatti si è svolta in città una manifestazione di ambientalisti in vista della riunione della Consulta del 9, chiamata dalla locale Procura ad esprimersi sulla costituzionalità della legge 231 del 24.12.2012. Alla manifestazione, alla quale hanno partecipato qualche migliaio di cittadini ed anche dall’Ordine dei Medici, sono state assenti peraltro le istituzioni, tutte le maggiori forze politiche, i sindacati, gli operai dell’Ilva, la Confindustria e la stragrande maggioranza della popolazione locale.

La legge 231

La legge 231, convertendo il relativo decreto legge del 3 dicembre dello scorso anno, ha consentito allo stabilimento, inserito fra quelli classificati di ‘interesse strategico nazionale’, di riavviare l’area a caldo posta sotto sequestro il 26 luglio dello scorso anno, nel mentre sono state avviate nell’impianto le misure attuative della nuova Autorizzazione integrata ambientale, recepite nella suddetta legge 231.

Il referendum sulla chiusura della fabbrica

Domenica 14 aprile si svolgerà a Taranto un referendum consultivo sulla chiusura totale o parziale della grande fabbrica in cui lavorano 11.611 addetti diretti e dal cui esercizio dipende buona parte dell’economia non solo della città, ma dell’intera provincia che lo scorso anno peraltro, nonostante i problemi insorti nel luglio scorso all’indomani delle misure giudiziarie per l’area a caldo del sito, ha esportato ‘metalli e prodotti in acciaio’ per 1,2 miliardi di euro che restano la prima voce dell’export ionico. E’ opportuno inoltre ricordare che è stato di recente sottoscritto al Ministero del lavoro un accordo fra azienda e sindacati per ricorrere ai contratti di solidarietà per le 3.741 unità lavorative che saranno interessate dal rifacimento di specifici impianti sino al 2015.

L’importanza del Siderurgico di Taranto

Ma le vicende iniziate nell’estate dello scorso anno hanno reso evidente a tutta l’opinione pubblica nazionale l’importanza del Siderurgico di Taranto per gran parte dell’industria meccanica italiana che si approvvigiona dei suoi beni intermedi, senza i quali aumenterebbero le importazioni con pesanti ripercussioni su vasti tessuti di Pmi costrette ad acquistare all’estero beni oggi venduti loro dall’Ilva.

Le posizioni contrastanti sul futuro dello stabilimento

Ma, ancor di più, le vicende degli ultimi mesi hanno posto in evidenza il discrimine netto fra coloro i quali per la tutela della salute e dell’ambiente sostengono la necessità di un ammodernamento del Siderurgico, ai sensi della nuova Aia e delle disposizioni comunitarie, che in Europa entreranno in vigore nel 2016, e coloro invece che, attestati su un irriducibile estremismo ambientalista, vogliono solo la dismissione dello stabilimento, per i cui occupati peraltro propongono piani molto labili e di evidente inconsistenza tecnica per il reimpiego che comunque non avverrebbe in tempi brevi.

Mantenere alta l’attenzione su Taranto

Ora, può un grande Paese industriale come l’Italia – seconda manifattura d’Europa – privarsi di un grande impianto come quello di Taranto la cui bonifiche sono ora per legge verificate dall’Ispra, sotto l’Autorità di un Garante stabilito dalla 231 e individuato dal Governo nella persona di un ex Procuratore generale della Corte di Cassazione? E’ necessario allora che le grandi forze politiche italiane, i sindacati, la Confindustria e tutta l’opinione pubblica nazionale mantengano alta l’attenzione su Taranto e sul suo polo siderurgico.

Gli investimenti previsti

Naturalmente se si hanno ancora a cuore le sorti dell’industria siderurgica nazionale e con essa di quella meccanica che resta uno dei pilastri del sistema manifatturiero italiano. Gli investimenti avviati e previsti nello stabilimento per il rispetto dell’Aia ammontano al momento a 2,2 miliardi di euro, che si configurano come il più grande investimento industriale nel Mezzogiorno dopo l’insediamento della Fiat a Melfi in Basilicata e la costruzione della Centrale dell’Enel a Brindisi, entrambi entrati in esercizio all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso. Tutela della salute, dell’ambiente e del lavoro si realizzano, dunque, con gli investimenti e l’impiego di tecnologie avanzate e di best practices gestionali degli impianti, non con la desertificazione manifatturiera della città e del Mezzogiorno.

Federico Pirro

Università di Bari – Centro Studi Confindustria Puglia


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