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Margaret Thatcher raccontata dall’Economist

Solo una manciata di politici possono dire di aver cambiato il mondo. Margaret Thatcher, morta questa mattina, è stata una di quelli.

Alla sua figura è dedicato un ritratto dell’Economist, che in occasione della sua scomparsa la descrive protagonista di una rivoluzione internazionale che pose fine all’Unione Sovietica.

Come in un commento del direttore di Italia Oggi e Milano Finanza, Pierluigi Magnaschi, anche il settimanale inglese pone la Thatcher, nella storia britannica, un gradino sopra Winston Churchill che ha sì vinto una guerra, ma non ha mai creato un “ismo”, quel Thatcherismo che è stato il suo marchio di fabbrica.

La sua essenza è stata senza dubbio la volontà di contrastare lo status-quo per consentire a ogni individuo di autodeterminarsi, riducendo al minimo il peso dello Stato nella vita dei cittadini. Lei era più di un politico, per l’Economist, piuttosto l’incarnazione stessa del conservatorismo.

LE TANTE BATTAGLIE
In Gran Bretagna sono passate alla storia le sue battaglie vinte con la sinistra e con gli allora potentissimi sindacati che nessuno, nemmeno a destra, osava sfidare.

Molte delle sue invettive furono rivolte ai suoi stessi colleghi di partito, nel quale combatté per un rinnovamento di uomini e linea politica.
Ma non tornò mai indietro sulle sue posizioni, che ebbe il coraggio di difendere anche quando la disoccupazione raggiunse livelli record e anche i Conservatori iniziarono a voltargli le spalle.

LA LEZIONE NON APPRESA
Per l’Economist tuttavia i paradossi del Thatcherismo abbondano. Dopo una lunga stagione di vittorie, il Partito Conservatore aveva ormai un consenso radicato nel Sud del Paese, ma vacillava in Scozia, Galles e nelle città del nord. Il successore della Lady di Ferro, John Major, non si rivelò in grado di sfruttare al meglio l’eredità consegnatagli e dopo un mandato perse le elezioni, spianando la strada a 13 anni di dominio del New Labour di Tony Blair.

IL NEW LABOUR “MODELLO THATCHER”
Eppure i successi della Thatcher sono innegabili, secondo l’Economist.
Con la breve eccezione delle misure di emergenza adottate in seguito alla crisi finanziaria del 2007-08, non ci sono stati movimenti di nazionalizzazione di industrie. Grazie a lei, il centro di gravità della politica britannica si è fortemente spostato a destra. Persino i Nuovi laburisti degli anni ‘90 erano giunti alla conclusione di poter salvare il Partito Laburista dalla rovina solo adottando i principi centrali del Thatcherismo.

IL PESO SULLA SCENA MONDIALE
La Thatcher ebbe per il setttimanale inglese un ruolo determinante anche nella caduta dell’Unione Sovietica, addirittura sproporzionato rispetto al peso della gran Bretagna nel mondo. Era un’eroina per tutti i politici d’opposizione nei Paesi dell’Est e la sua volontà di affiancare Ronald Reagan per bloccare l’espansionismo sovietico, ha contribuito a promuovere un nuovo modo di pensare al Cremlino.
Anche la sua insistenza nel ritenere che Mikhail Gorbaciov fosse un uomo con il quale l’Occidente poteva collaborare ha contribuito a porre fine alla guerra fredda.
Il ringraziamento al suo impegno è stato vedere come i Paesi post-comunisti (ma in parte anche India e America Latina) abbiano abbracciato in pieno, almeno inizialmente, i suoi dettami liberisti.

IL BISOGNO DI NUOVO THATCHERISMO
Oggi, nella maggior parte dell’Occidente si assiste ad un allontanamento dai principi thatcheriani. Lo Stato, anche grazie al modello cinese, assume più peso anche nei paesi emergenti. La troppa regolamentazione frena così il settore privato.

Questo – per l’Economist – è un momento cruciale e quello di cui il mondo ha bisogno ora è più Thatcherismo, non meno.


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