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Meriti e costi (30 miliardi) del piano Letta

Con 453 voti ieri sera il governo Letta ha ottenuto la fiducia della Camera. Praticamente sono arrivati tutti i voti previsti, tranne quelli di due “pellegrini” del Pd, tra cui l’énfant prodige Giuseppe Civati detto Pippo, che sono usciti dall’aula. La Lega Nord – è un segnale positivo – si è astenuta.

Stamane il governo affronta il voto del Senato, dove non dovrebbero esserci problemi, anche se i numeri non sono dopati dal premio di maggioranza come a Montecitorio.

Il premier ha fatto un buon discorso, soprattutto per quanto riguarda i capisaldi europeisti del governo (Letta è stato molto netto nel ribadire che il destino dell’Italia coincide con quello dell’Unione) e le caratteristiche dell’alleanza che sostiene l’esecutivo.

A quest’ultimo proposito c’è stato un passaggio significativo nelle comunicazioni del premier, quando ha ricordato – citando Beniamino Andreatta – la differenza tra il concetto di “politica” e quello di “politiche” e fatto notare che, anche quando la “politica” è divisiva, non è impossibile trovare intese tra diversi sulle “politiche”.

I meriti della strana maggioranza

L’esperienza del governo Monti, pur con tutti i suoi limiti e difetti, è lì a provare che la “strana” maggioranza è stata in grado di affrontare – tra le altre – questioni delicatissime e conflittuali come le pensioni ed il lavoro, e di misurarsi senza demagogie con la riduzione dei  costi della politica e la lotta alla corruzione.

L’eredità del governo Monti

Non a caso, Enrico Letta, per ben due volte, ha fatto riferimento all’azione dell’esecutivo precedente, come se volesse rimarcare un itinerario di continuità. E questo è, ad avviso di chi scrive, l’aspetto più interessante del discorso del presidente del Consiglio. Stabilire un nesso tra il precedente governo e il suo non ha avuto soltanto un significato programmatico, se si tiene conto della campagna elettorale che ha visto il Pd prendere le distanze dall’esecutivo dei tecnici e il Pdl farne il suo principale bersaglio fino a dire agli elettori di votare per Bersani piuttosto che per Monti e se si valutano, ancora adesso, i progetti di discontinuità rispetto alla precedente esperienza tuttora presenti all’interno dei democrats.

La continuità Monti-Letta

Lasciar intravedere una sorta di staffetta tra il governo del Professore e quello del vice segretario del Pd evidenzia pure un grande risvolto politico; nel senso che, nonostante la fine anticipata della legislatura e una campagna elettorale dissennata, il seme dell’esecutivo dei tecnici (sostenuto dai partiti della “strana” maggioranza che avevano fatto un passo indietro perché nessuno di loro voleva mettere la propria faccia vicino a quella del proprio mortale nemico) ha germogliato, dopo due mesi di sofferenza e di ricerca di improbabili alternative, un governo organico di larghe intese, con una forte caratura non solo politica, ma partitica.

Il merito del capo dello Stato

Il merito di Giorgio Napolitano, tra i tanti encomiabili,  è stato innanzi tutto quello di dimostrare, con l’iniziativa dei dieci ‘’facilitatori’’, che la distinzione tra “politica” e “politiche” è fondata, ma che tra il Pd, il Pdl e Scelta civica, ancorché divisi sulla “politica”, era possibile trovare un quadro di intese sulle “politiche”, tanto da riuscire a farlo in pochi giorni, sia nel campo delle riforme sia in quello dell’economia e del lavoro. Si è dimostrato così che non esistevano contrapposizioni programmatiche inconciliabili.

L’agenda economica del governo Letta

Tuttavia, il discorso diventa più complesso se si entra nel merito delle indicazioni di politica economica e sociale contenute nella comunicazioni del premier. Si avverte, pesante, la mano della mediazione tra i partiti, senza, peraltro, avere delucidazioni rassicuranti per quanto riguarda le coperture finanziarie. Sembra profilarsi una prospettiva che vorrebbe tenere insieme minori entrate (in particolare: riduzione delle imposte sul lavoro, sospensione del pagamento di giugno dell’Imu in attesa di una sua revisione, la mancata applicazione dell’aumento dell’Iva) e maggiori spese (un intervento di sostegno per i redditi più bassi, il rifinanziamento della cig in deroga, la soluzione definitiva del problema degli esodati, gli incentivi per l’occupazione giovanile, il potenziamento dell’apprendistato, l’estensione al lavoro precario degli ammortizzatori sociali; tanto per ricordare gli interventi più importanti e più onerosi).

Il capitolo pensioni

Soprattutto per quanto riguarda le pensioni sembrano essere in cantiere, poi,  alcune misure di carattere strutturale,  a revisione della riforma Fornero, di cui per ora sono stati forniti solo pochi cenni.

Gli interventi costeranno 30 miliardi di euro

Ad occhio, tuttavia, si tratta di un pacchetto che richiederebbe almeno la copertura di una trentina di miliardi. Mettiamo pure che si ragioni nell’arco di una legislatura e che si possa mettere in conto anche la ripresa economica. Ma l’impegno finanziario richiesto rende problematica l’attuazione del programma.

La fine del bipolarismo inconcludente

Tutto ciò premesso, ci sentiamo di affermare che le coordinate politiche, europee ed europeiste, che il governo si è dato, costituiscono una polizza assicurativa contro qualsiasi forma di demagogia. Poi, a noi interessa che questo quadro politico vada avanti, fino a seppellire, nella discarica della storia, quel bipolarismo confusionario e inconcludente che costringeva ad alleanze contro natura e senza principi e che , per vent’anni,  ha avvelenato i pozzi del vivere civile.

 

 


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