La morte di Giulio Andreotti divide la sinistra italiana, non concorde nel riconoscere pregi e difetti dell’ex senatore a vita.
Per il già presidente del Consiglio Massimo D’Alema, esponente di punta del Partito Democratico, “con Andreotti scompare uno dei maggiori protagonisti della vita politica e democratica del Paese del dopoguerra, la personalità che forse più di ogni altra ha rappresentato la continuità del ruolo di governo e della centralità politica della Democrazia Cristiana nella storia della prima Repubblica”.
“Si è trattato certamente – ha aggiunto nel suo messaggio il presidente della Fondazione Italianieuropei – di un leader anche molto discusso nei diversi momenti della sua lunga esperienza politica e per la sua concezione del potere. Tuttavia, non si può negare che egli abbia mantenuto aperto il dialogo anche con forze politiche lontane dal suo pensiero e che abbia contribuito a consolidare il ruolo e la presenza internazionale del nostro Paese, concorrendo così in modo determinante a fare la storia dell’Italia repubblicana”.
D’Alema ha infine ricordato anche esperienze personali; in particolare di come nella sua vita abbia avuto con Andreotti “diverse opportunità di incontro e di dialogo, sin da quando, nel lontano 1977, insieme ad altri responsabili delle organizzazioni giovanili, ci recammo da lui, che era presidente del Consiglio di un governo di solidarietà nazionale, per chiedere un impegno particolare per il lavoro dei giovani. Ciò si tradusse nel varo della legge 285 per l’occupazione giovanile”.
Un bilancio tutto sommato positivo della vita politica di Andreotti, quello tracciato da D’Alema, che si scontra con le critiche del leader di Azione Civile, Antonio Ingroia. Divergenze che fanno ben comprendere come mai Pd e RIvoluzione Civile, il movimento fondato da Ingroia, si siano presentati divisi alle scorse elezioni.
Secondo l’ex magistrato, “con la morte di Giulio Andreotti se ne va un protagonista, più spesso negativo che positivo, della storia italiana degli ultimi 70 anni”.
Poi un riferimento alla cronaca e a vecchie accuse rivolte ad Andreotti. “Si chiude così in questi giorni – ha aggiunto Ingroia – una pagina della storia italiana contrassegnata da due simboli opposti: Agnese Borsellino – ex moglie del magistrato Paolo, scomparsa in queste ore – con la sua richiesta allo Stato di verità e di giustizia, rimasta inappagata, e Andreotti con il suo pragmatismo cinico che, in nome delle ragioni della politica e della Ragion di Stato, giunse a stringere accordi con la mafia. Andreotti, con le sue tante ombre e poche luci, è morto, l’andreottismo sicuramente no”.