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Il codice De Gasperi secondo Giulio (Andreotti)

Articolo pubblicato su Formiche 25 (aprile 2008)

Quanto tempo ho? “Meno di un anno!”. La chiacchierata telefonica con il senatore Giulio Andreotti si apre così, con la sua prima risposta surreale: ne seguiranno molte altre in una raffinata staffetta di giochi di parole, aneddoti, pillole di storia sapientemente condita con ironia. Eravamo preparati. E già pregustavamo i suoi leggendari “dribbling” dialettici, il tono distaccato ma sereno di chi è stato testimone di troppo per infervorarsi, oggi, per così poco! Il senatore, tuttavia, ha le idee chiare e, sollecitato sul tema delle riforme necessarie al Paese, non si lascia lusingare da modelli teorici studiati a tavolino e oppone subito un deciso “meglio lasciare le cose così come sono!”.

Quando però inizia a parlare dell’uomo e dello statista Alcide De Gasperi, la voce assume un timbro più energico del soffio leggero a cui siamo abituati: “Sono stato legato a De Gasperi per molti anni: da prima che la Democrazia cristiana uscisse alla luce del sole fino alla sua morte. Era una persona di un’integrità e di una coerenza eccezionali. In tanti anni, non ho mai riscontrato, non dico un vizio, ma un solo difetto nel presidente. Aveva un metodo di lavoro molto rigoroso: ricordo una riunione, una volta, in cui uno disse: ‘Vediamoci alle cinque precise’ e lui rispose: ‘Che vuol dire, o sono le 5 o non lo sono!’. Bisognava fare le cose per bene e tempestivamente e faceva anche raccomandazioni che possono sembrare oggi un po’ strane: come la prima volta che andai al Festival di Venezia – era il primo anno – mi raccomandò di non essere frivolo e di portare mia moglie! Si occupava anche di questi aspetti.

Sul piano personale, era un vero cristiano: aiutava chi poteva, senza renderlo noto per non creare imbarazzo”. Sappiamo bene che Andreotti e De Gasperi erano legati “da un sodalizio lungo, profondo e duraturo, nonostante le profonde differenze di carattere e metodologiche”. E per questo, chiediamo al senatore di ricordare le ragioni dell’intesa e quelle della differenza: “Cosa vuole che le dica: io sono un popolano romano che, per combinazione, ha iniziato a occuparsi di politica e che si è trovato a farlo dopo numerose situazioni paradossali: ad esempio, non mi ammisero al corso di allievi ufficiali perché non avevo il torace sufficiente e dunque iniziai a fare il servizio militare come soldato in sanità, salvo poi, dopo qualche anno, ritrovarmi a fare il ministro della Difesa. Non è tutto. Mi sono laureato piuttosto bene – con 110 – ma l’unico esame in cui ho avuto 18 e con una certa fatica è stato Scienza delle Finanze… e poi sono diventato ministro delle Finanze! Per cui, sono una specie di pupazzo che va da una parte all’altra del circo…”. Gli ricordiamo noi una differenza: l’ex presidente del Consiglio è sempre stato famoso per il suo pragmatismo tanto che Montanelli lo stigmatizzava con la nota frase “Quando andavano in chiesa insieme, De Gasperi parlava con Dio, Andreotti col prete”. E questa volta, per la nostra gioia, cede: “E però io a Montanelli una risposta la detti: ‘Perché il prete votava e Dio no!’”. Poi si fa serio: “A parte tutto, la caratteristica di De Gasperi era quella di far vedere con chiarezza che la politica italiana doveva essere sempre più legata alla politica europea e a quella internazionale: contro la tradizione dell’‘Italietta’…”. A questo proposito, in tempi non sospetti, ricordiamo al senatore quello che Mauriac diceva: “L’atmosfera politica è impura”, per chiedergli come uscirebbe lo statista De Gasperi da questo delicato passaggio politico: “Credo che accentuerebbe di più – perché le cose del mondo hanno camminato in questa direzione – la necessità di inserirci maggiormente in ambiti più vasti, sia rafforzando l’Unione europea sia al di fuori, in ambito internazionale”.

Gli sollecitiamo a questo punto una riflessione sul processo costituente in Europa e su come sia integrabile con l’esperienza italiana: “Ho un’opinione molto positiva della nostra struttura diplomatica che è molto ben organizzata e formata. Per il resto, occorre far diventare quotidiano il nostro riferimento all’Europa. Su questo fronte abbiamo da fare ancora molta strada”. Cerchiamo di portare Andreotti sul terreno dell’attualità politica, ricordandogli che fra un anno si tornerà alle urne per le elezioni europee: tra i partiti, ancora oggi c’è molta confusione. Si riferiva a questo quando, qualche tempo fa, invitava tutti a “chiarire la nostra posizione internazionale”? “Sì. Ma il punto è che c’è da creare la cittadinanza europea che non è un fatto giuridico ma psicologico, non burocratico ma culturale. Non ci può essere una scelta a ripresa dell’europeismo.

Quello che penso è che siamo ancora molto lontani da un obiettivo importante: quello di far ‘entrare’ il cittadino medio nel Parlamento europeo, metterlo a conoscenza di quello che accade lì dentro. Non se ne parla quasi mai e c’è da meravigliarsi che si vada comunque a votare e che l’afflusso di elettori sia così alto. In realtà, esiste lo stesso problema, magari più limitato, anche per quello italiano…”. Ecco, tornando al nostro Paese… Il senatore ci interrompe: “Guardi, da quando non c’è più la Dc, io sono passato nella riserva della politica: faccio il mio lavoro di senatore con molta passione ma sono un indipendente, quindi non ho più scuderia”. Gli sottoponiamo, il tema dei programmi del Popolo delle libertà e del Partito democratico: qualcuno dice che il loro essere speculari sia in fondo una buona notizia. Secondo il senatore, l’esperienza “no partisan” di Attali, riuscirà a spostare il confronto elettorale sul terreno delle policy? O, azzardiamo, Andreotti crede che sia solo il tema della Grande Coalizione rivisto in modo più charmant… “I programmi non li ho letti! Tuttavia, a me sembra un po’ presto per intuire quale sarà l’evoluzione – non voglio fare il processo alle intenzioni prima di sapere se chi ha messo in campo quei programmi abbia o meno totale limpidità di programmazione – ma ci vuole del tempo secondo me.

Per il momento, meglio non guastare le cose che ci stanno: altrimenti ‘per stare meglio sto peggio’, secondo l’antico motto…”. A proposito di lasciare le cose come sono: parlando di De Gasperi, Togliatti, La Pira e Dossetti, citiamo una sua frase di qualche tempo fa: “Quando scrivevano la Costituzione, ogni articolo era il frutto di un intenso lavoro comune pur nelle profonde diversità che c’erano tra i partiti. Ecco, dobbiamo tornare a dialogare, a quello spirito di 60 anni fa che ci ha regalato la Costituzione: un punto fermo che non va toccato”. Gli chiediamo di spiegarci meglio… “Io penso che la Costituzione sia come quei mobili antichi che bisogna sì pulire, ma con attenzione perché a restaurarli, si corre il rischio di restare con in mano un mucchio di segatura: vanno tenuti così come sono! Ecco, la Costituzione ci ha consentito dei cambiamenti notevoli ma nei suoi punti fermi, ha dimostrato una grande validità e credo che la cosa migliore sia tenersela com’è”. Citando questa volta il ministro dell’Interno, Giuliano Amato che ha parlato di un “patto – possibile e doveroso – di convivenza politica tra laici e cattolici”, ricordiamo al senatore una sua frase secondo cui “non è più tempo per una nuova Dc”. Gli chiediamo dunque, se crede ad una convivenza mista, nel Pdl o nel Pd, che sia senza steccati e su programmi e obiettivi: “La convivenza di laici e cattolici può essere un punto d’arrivo e non si può fare in tempi brevi perché ci sono vie formative che vanno in senso opposto per gli uni e per gli altri, per non parlare dell’enorme confusione esistente tra laicismo e laicità che ci portiamo dietro. È dura a morire, cioè, quella che, un tempo, era la difficoltà dei cattolici di accettare il potere temporale dei Papi: ancora c’è qualche piccola eredità negativa”. Con un po’ di timidezza gli ricordiamo che si era detto convinto che Prodi ce l’avrebbe fatta. Lo diceva con la chiosa “in genere, quando ci sono molti tuoni poi non piove mai…”, assicurando il proprio voto di fiducia almeno “fino a quando non ci sarà un governo migliore di questo…”.

Chiediamo incuriositi cosa gli abbia fatto cambiare idea e riceviamo in risposta una favola: “Le racconto la storia del tiranno di Siracusa. Una vecchietta pregava per lui e a chi le chiedeva il perché pregasse per un uomo tanto cattivo, lei rispondeva: ‘Ho conosciuto suo nonno e suo padre e andava sempre peggio. Meglio che rimanga lui!’. Ecco, questa storia può essere applicata anche ai governi, compresi i miei! Prodi ad esempio, rispetto ad altri, è più qualificato: conosce molto meglio i problemi dell’Ue e ha un’ottima preparazione economica. L’unica cosa è che quando parla in televisione, dovrebbe dimenticare di essere un professore perché la gente dopo 14 anni alla scuola d’obbligo non ci va più, non accetta da nessuno una predica!”.

Lo provochiamo: Veltroni forse da questo punto di vista rappresenta un passo in avanti. “Forse. Ma bisogna vedere se il prodotto che vende è meglio perché forse è preferibile qualcuno che venda male un buon prodotto che viceversa”. Attendiamo al varco, si fa per dire, il senatore Andreotti sulla questione della candidatura dell’on. De Mita, ricordandogli il suo commento: “Ci sono persone validissime a 22 anni e a 90, come ci sono degli imbecilli a 20 anni”. Siamo tutti d’accordo, ma gli domandiamo, non crede che la questione del ricambio generazionale debba essere in qualche modo tematizzata oggi? “Sa, tutto questo è un po’ una consolazione che ci facciamo a una certa età perché non possiamo più tornare indietro! Vero è che nella storia della civiltà, in Grecia, essere anziani era un privilegio, voleva dire essere saggi: oggi i tempi sono cambiati e non è più così”.

Torniamo a De Gasperi che scriveva: “Governare è una sofferenza quotidiana…”, per arrivare alla “domanda”: “È valsa la pena dedicare tutta la sua vita allo Stato ed essere identificato con il potere?”. Andreotti trae le sue conclusioni: “Non sono andato a cercare io il potere: ritengo di aver cercato di fare quello che potevo. Ho avuto enormi soddisfazioni e anche qualche grana. Più che ricordi ho tantissimi ‘precedenti’: i precedenti sono sempre buoni punti di riferimento – io dico sempre che la Repubblica non è fondata sul lavoro ma sul precedente – certo, non bisogna restarne vittima, perché altrimenti hanno il potere di essere solo un freno. È una mia filosofia, molto particolare. Ma è così”.


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