Il nome di Guglielmo Epifani ha messo tutti d’accordo. Persino Massimo D’Alema, il grande sconfitto di queste ore secondo molti osservatori, ha seppellito l’ascia di guerra per porgere la guancia, incassare l’ennesimo schiaffo e riorganizzarsi in vista del congresso di ottobre.
Un appuntamento che rischia di essere nulla in confronto alla resa dei conti consumata sulla pelle di Franco Marini e Romano Prodi nella corsa al Quirinale.
Si legge anche così lo scarsissimo entusiasmo con cui l’ex segretario della Cgil si è accostato a un incarico, quello di nuovo segretario del Pd, che lo vede come mero cuscinetto delle botte da orbi che dietro le quinte si scambiano da tempo le correnti che fanno capo agli ex Ds.
Non è un azzardo identificare molte delle tensioni attuali come il frutto della rincorsa alla “rottamazione” che Pierluigi Bersani ha messo in campo nelle liste del Pd alle scorse elezioni, che hanno visto guarda caso esclusioni eccellenti, come quella di Massimo D’Alema. Un nome, quello dell’ex presidente del Consiglio, che Bersani si è rifiutato di sponsorizzare in prima persona anche con Enrico Letta, durante la definizione del nuovo esecutivo, magari per un ritorno alla Farnesina.
Mentre i tanti cattolici del partito – Letta, Fioroni, Franceschini – hanno dimostrato ancora una volta di avere nel correntismo il loro terreno di coltura, è ormai di dominio pubblico come la sinistra dei democratici stia consumando un cannibalismo che rischia di decretarne la scomparsa.
In attesa che questo processo si realizzi, nei retrobottega della politica si consumano faide trasversali, che bruciano nel giro di poche ore nomi e storie che meriterebbero forse un pizzico di cautela in più nell’essere date in pasto al tritacarne mediatico.
Un nome di questi è senz’altro quello di Anna Finocchiaro, che dopo la delusione per la mancata nomina a presidente del Senato, fino a poche ore fa era considerato il nome forte da spendere per la nuova segreteria.
Niente da fare. In una riunione di caminetto che ha preceduto la scelta di Epifani, qualcuno ha sollevato alcune obiezioni in merito al suo nome, paventando un nuovo effetto Marini.
Ma nel trabocchetto ha rischiato fino all’ultimo di cadere anche il 34enne lucano Roberto Speranza, capogruppo Pd alla Camera, più che una promessa per i democratici.
Lui, dalemiano di stretta osservanza, deve tutto a Pierluigi Bersani, che lo ha lanciato nella scorsa campagna elettorale e in Parlamento, portandolo alla ribalta nazionale.
Abile a muoversi negli equilibri precari di questo risiko, Speranza è stato scelto da D’Alema per farne l’uomo al quale Bersani non avrebbe potuto dire di no e, se l’avesse fatto, con grande imbarazzo. Il giovane capogruppo è stato sufficientemente accorto da fiutare cosa covava sotto la cenere, evitando di cadere in un tranello fin troppo scontato.
Anche uno degli eterni giovani del Pd, Gianni Cuperlo, è stato il jolly con il quale D’Alema pensava di ribaltare gli equilibri interni, ormai saldamente in mano a Bersani, che tra delegati in assemblea e rappresentanze nel nuovo governo, può contare su una folta pattuglia che gli consentirà di togliersi molti sassolini dalle scarpe.
Il discorso di Cuperlo è comunque rimandato a ottobre, quando a tornare allo scoperto saranno anche Walter Veltroni e Matteo Renzi, ai margini in questa partita.
E chissà che per allora D’Alema non abbia deciso di uscire dal suo isolamento, finora foriero di poche soddisfazioni, per stringere nuove alleanze che facciano traballare l’asse Bersani-Letta-Franceschini, l’impalcatura che regge oggi il Pd.