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Guglielmo Epifani? La tachipirina per la febbre del Pd

Guglielmo Epifani segretario? “La tachipirina per il febbrone del Pd”, sostiene Michele Magno già dirigente sindacale e politico nella Cgil e nel Pci, ora editorialista e saggista. In una conversazione con Formiche.net, parla di Matteo Renzi, del governo Letta e del futuro dei democratici.

Qual è il significato storico e politico di un ex segretario della Cgil alla guida del Pd?
Non enfatizzerei più di tanto la provenienza socialista di Epifani, nel senso che il padre fondatore del Pd è stato un ex democristiano: non è questo il punto. Intanto vediamo se e quanti mal di pancia provocherà l’elezione di Epifani, ma il dato da sottolineare è che i capicorrente convergono su quella candidatura perché è semplicemente la meno nociva. La definisco la tachipirina per il febbrone del Pd.

Quindi una terapia d’urto o un placebo?
E’ una persona con delle qualità personali, con un certo spessore culturale, vanta una discreta esperienza, avendo diretto quella che resta la più grande organizzazione di massa in questo paese negli ultimi anni. Sicuramente è un traghettatore, un garante di una tregua istituzionale all’interno del partito. Anche se ho l’impressione che il congresso inizi proprio nell’assemblea di oggi. Ricordo che, sia pure per un periodo transitorio, il Pd venne guidato da Dario Franceschini: per cui non conta la provenienza di una candidatura ma il suo significato.

Cosa garantisce allora Epifani?
Più equilibrio. E non sono neanche convinto, come ho letto su alcuni quotidiani, che cercherebbe di spostare più a sinistra il partito per riequilibrare la sovra rappresentanza degli ex popolari nel governo. Sarà il Caronte del Pd, da qui a ottobre.

Crede che potrebbe presto trasformarsi in capitano di una nave senza meta, visto che poi chi traghetta aspira ad occupare una comoda poltrona?
In politica mai dire mai. Ma ho la sensazione che la proposta di candidare Epifani sia stata vincolata al patto di non ricandidarsi nel congresso di ottobre.

Chi parte favorito per il congresso (anche se mancano cinque mesi)?
Il Pd o sarà di Matteo Renzi o non sarà. Naturalmente c’è in ballo la questione statutaria e politica di separare la figura del segretario da quella di candidato alla premiership.

Claudio Velardi e Luca Telese da queste colonne hanno sostenuto che da vent’anni la classe dirigente del Pd fugge dalle proprie responsabilità: e la convergenza su Epifani ne è la ratifica…
Sì, però da vent’anni mi sembra un giudizio esagerato. Di Achille Occhetto tutto si può dire meno che non si sia assunto la responsabilità storica di prendere atto del crollo del Muro di Berlino. E ne ha pagato il prezzo personalmente. Dico che c’è stata una fuga di responsabilità da parte del Pd, un partito nato male, senza un concetto, ma sull’esigenza di raccogliere tutte le forze disponibili ad allearsi contro Berlusconi. Registrando lo sfinimento delle culture politiche della sinistra: questo il passaggio che è in corso già da una ventina d’anni.

Massimo D’Alema definì il Pd un amalgama mal riuscito: come se ne esce?
In realtà è diventato subito una maionese impazzita, proprio perché non aveva una sua visione. È stata solo la giusta posizione di tradizioni politiche diverse che non hanno mai avuto l’intenzione di fondersi.

Un punto a sfavore di Renzi il fatto che non abbia preso (già oggi) il controllo del partito?
Penso che quello che succederà nel Pd dipenderà molto dalle sorti del governo. Sono strettamente intrecciate nel senso che se l’esecutivo Letta, come temo, facesse la fine di quello di Mario Monti, ovvero caratterizzato da tanti piccoli compromessi, sotto quel crollo e quelle macerie finirebbe il Pd. Se il partito, al contrario, riuscisse ad essere forza propositiva allora il governo ne trarrebbe giovamento. Ma io, francamente, non ci credo molto.


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