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Epifani non salverà il Pd. Parla Velardi

Epifani nuovo segretario del Pd? E’ la ratifica dell’evidenza di una classe dirigente che da vent’anni fugge dalle proprie responsabilità, chiosa Claudio Velardi, già consigliere di Massimo D’Alema premier e fondatore della società lobbying ReTi. Velardi affida a Formiche.net un ragionamento su ciò che realmente manca al Pd: non uomini, né leader, né alleanze. Ma un progetto.

Nell’assemblea di oggi Epifani è in pole position: una candidatura che ha un futuro?

No, è semplicemente la ratifica della grande fuga della classe dirigente piddì. Che, in verità, continua da vent’anni. Quindi non potrà avere responsabilità di nulla, perché dovrà fare il traghettatore.

Al Pd senza bussola conviene di più un traghettatore verso “la liquidazione” o un nome rischioso che però eviti la scissione?

Il nodo è definire il progetto di questo partito, non è tanto una questione di identità. Nell’Italia della cosiddetta Seconda Repubblica, il problema è integralmente legato alle leadership. Non esiste un progetto senza leadership. Per cui non c’è alcun dubbio che se si eleggesse un traghettatore questa crisi procederebbe a rotta di collo per molto tempo ancora. D’altro canto, dai nomi che sento in queste ore, mi pare difficile che possa venir fuori un progetto, quand’anche non si scegliesse il traghettatore. In sintesi, è un partito messo male.

A meno che?

A meno che non si facciano delle operazioni diverse. Ma non si può pensare di ricorrere al sindaco di una grande città o al presidente di una Regione: sarebbero scelte sbagliate, uno schiaffo dato a pezzi del Paese. Non so francamente cosa sia meglio, dico solo che in politica non ho mai conosciuto un traghettatore: da Giovanni XXIII che sarebbe dovuto essere un Papa di transizione a segretari di partito che, una volta giunti lì, poi provano a diventare leader.

Crede che Renzi abbia sbagliato in questa fase a non fare un passo (deciso) in avanti?

Fino ad oggi si è mosso in maniera molto intelligente, con la giusta tempistica: il punto è che corre due rischi. Se non si prende il partito adesso, non troverà più nulla, solo macerie. Inoltre se il governo Letta dovesse durare, a quel punto potrebbe perdere anche il treno della candidatura alla premiership. Ad ogni modo è evidente che oggi non potrà prendersi il partito.

Perché dalla fusione a freddo tra Ds e Margherita in poi (e lo chiedo al comunicatore) ogni nuovo segretario aveva già, dall’investitura, la sorte segnata?

Dato che questo Pd non si è mai dato un progetto, neanche nelle intenzioni, tutti i segretari hanno sempre considerato il partito come un fastidio, finalizzando la candidatura alla segreteria come anticamera della premiership. Arrivando ad inserirlo nello statuto. Poi vi sono delle motivazioni di carattere storico-culturale assai profonde: in realtà gli ex comunisti, che sono la parte dominante del Pd, non avendo mai fatto i conti con la loro storia, hanno sempre narrato fandonie al proprio cosiddetto popolo. Questo è il grande problema del partito, che qualcuno ha tentato di risolvere inventandosi le primarie. Ovvero abdicando a qualsiasi funzione dirigente e dicendo ai militanti “decidete voi”. Fino ad arrivare al paradosso grottesco rappresentato dalle affermazioni di Bettini che propone Il Campo, per non decidere alcunché e lasciare la parola agli iscritti con le primarie cosiddette settoriali. Sarebbe una vera e propria follia. E lo fanno perché sono schiavi del loro popolo che non hanno più educato, come invece i comunisti facevano in passato.

A proposito di popolo, i militanti con l’iniziativa #occupypd hanno già detto da che parte stanno…

E’ del tutto evidente. In una qualsiasi realtà associativa o partitica, i militanti vanno diretti: perché esisterebbero la democrazia rappresentativa e le funzioni leaderistiche se non per quella funzione? Nel momento in cui non sono più diretti, anzi, avvertono che i leader utilizzano il partito come un semplice tram per giungere altrove, comprensibilmente si ribellano facendo emergere le pulsioni peggiori: quelle più estreme, incapaci di costruire l’approdo ad una linea di governo. Si tratta di un percorso che non conduce da nessuna parte. Una voragine senza fondo, dove i dirigenti abdicano, i militanti protestano, e la linea del partito diventa estremista e radicale.

Al netto di veti e controveti, che peso ha nell’assemblea di oggi la scelta di essere andati al governo col Pdl?

Parecchio, perché in questo percorso l’urlo preferito dei militanti, che non vanno confusi con l’elettorato tour court, è contro il governo delle larghe intese.

twitter@FDepalo



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