Le rivelazioni sulle intercettazioni svolte dal Dipartimento di sicurezza americano ai danni dei giornalisti dell’Associated Press così come l’accesso a una serie di dati personali dei clienti dei servizi di Bloomberg News perpetrato dai giornalisti del colosso mediatico fondato dal sindaco di New York, Michael Bloomberg, per spiare illecitamente i trader e ricavarne scoop giornalistici fanno discutere.
Giornalisti spiati e giornalisti spioni, insomma, che chiamano in causa i temi della riservatezza dei dati personali insieme a quelli della deontologia professionale.
Due casi e un comune denominatore
“La notizia dell’intrusione subita dai giornalisti di AP è inquietante perché apre uno squarcio sul controllo dei governi sulle vite private e sulle attività professionali dei cittadini”, commenta l’avvocato Luca Bolognini, Presidente dell’Istituto Italiano per la Privacy in una conversazione con Formiche.net.
“Se mai si scoprisse che le intercettazioni del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti fossero state avviate per mero controllo politico, sarebbe gravissimo, ma aspettiamo le risultanze ufficiali dell’inchiesta”. Secondo alcune indiscrezioni, dietro l’intrusione americana vi sarebbe molto probabilmente un’indagine aperta per conoscere chi ha rivelato alcune informazioni ai giornalisti dell’Ap su un’operazione della Cia nello Yemen che sventò un attentato a maggio del 2012. “Probabilmente, vi sarà stata una ragione legittima per questi controlli e sarà stata rispettata alla virgola la legge vigente negli Usa. Non dimentichiamo che certe indagini possono sventare attacchi e salvare vite umane. Ma il tema dei controlli pubblici è comunque complesso: quand’anche il controllo avvenga per fini legittimi, chi ci assicura un corretto utilizzo di questi dati in futuro e da parte di ogni funzionario? Porsi, sempre, la domanda sul destino dei dati dei cittadini raccolti dai poteri pubblici è un segno di civiltà”, dice Bolognini.
Con riferimento al caso Bloomberg, l’aspetto che più appare preoccupante agli occhi del Presidente dell’Istituto Italiano per la Privacy è che un privato possa raggiungere tali livelli di guardia: “Bloomberg, se le cose stanno come descritte sui giornali, sembrerebbe scivolata sul principio di finalità, oltre che su quelli di correttezza e di lealtà nel trattamento di dati personali. In sostanza, potrebbe avere utilizzato informazioni per scopi diversi da quelli per cui furono legittimamente raccolte in origine”, commenta l’avvocato. L’azienda, infatti, oltre alle notizie, fornisce agli abbonati anche una vasta serie di dati finanziari per orientarsi in Borsa, usato dai trader. Dalle informazioni relative ai loro movimenti, i giornalisti parrebbe abbiano tratto spunto per i loro articoli, approfittando anche di un grosso vantaggio rispetto alla concorrenza.
Qual è il comune denominatore tra queste due vicende? “E’ necessario aspettare le conclusioni delle inchieste, se ci saranno. Il fatto è che, in entrambi i casi, assistiamo ad attività che possono essere lecite, ma fino ad un certo punto e mai oltre quel punto – risponde Bolognini – Il problema da verificare, allora, è se e quanto il confine del lecito sia stato superato”.
Le normative tra tutele ed eccezioni
“Ci sono norme che aprono alla possibilità di controlli preventivi e intercettazioni di ogni tipo, per prevenire gravi reati, anche eversivi o terroristici: spesso questi controlli avvengono fuori dai recinti delle più rigide garanzie previste per le intercettazioni giudiziarie classiche”.
Ma ciò non avviene solo negli Stati Uniti: “Anche in Europa e in Italia, dove vigono leggi ipergarantiste in materia di privacy, ci sono norme che lasciano ampi spiragli di controllo sui cittadini da parte degi Stati”.
Partiamo dalle normative europee. La Convenzione n. 108 del 1981 del Consiglio d’Europa, sulla protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato dei dati di carattere personale prevede, infatti, che gli Stati possano derogare alla tutela mediante legge interna (art. 9) ai fini della sicurezza dello Stato, sicurezza pubblica, interessi monetari, repressione dei reati, e per la stessa protezione dei diritti e delle libertà degli individui. La direttiva 95/46/CE, tuttora vigente, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali nonché alla libera circolazione di tali dati, richiamando in larga misura la Convenzione 108, all’articolo 13 ammette limiti da parte degli Stati alle garanzie “quando ciò sia necessario alla salvaguardia della sicurezza pubblica o dello Stato, della difesa, al perseguimento di reati, al fine di tutelare un rilevante interesse economico dello Stato”. Ecco che, mentre sulla carta i diritti alla privacy e alla tutela dei dati dei cittadini appaiono assicurati, in verità i poteri pubblici hanno ampi margini di manovra per deroghe ed eccezioni. In UE si sta anche discutendo, da un anno e mezzo, una proposta di nuova Direttiva, relativa proprio al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, e la libera circolazione di tali dati: tuttavia, il testo lascia ancora a desiderare e concede spazi di eccezione significativi per i poteri pubblici.
Ma c’è un altro aspetto molto importante, tutto italiano, che da ben nove anni attende una chiara definizione: “Dal 2004, in Italia, aspettiamo due decreti legati al trattamento dei dati effettuato in ambito giudiziario o per fini di polizia (previsti dagli artt. 46 e 53 del Codice privacy)”, sottolinea Bolognini. Si tratta del cosiddetto “Allegato C” che dovrebbe comporsi di un decreto del Ministro della giustizia e di un decreto del Ministro dell’interno. “Finché non ci sarà questo Allegato C – dichiara l’avvocato – non avremo la certezza che i dati raccolti per finalità di giustizia o di polizia siano poi trattati elettronicamente nel pieno rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali e della riservatezza. Un problema non piccolo per i cittadini italiani”.
Una costante
Quanto accaduto negli Stati Uniti sembra far emergere una costante: “La conoscenza personale, delle vite altrui, è potere”, commenta Bolognini. Mentre accumulare informazioni culturali anonime, che non siano riferibili a persone realmente esistenti, per il Presidente dell’Istituto Italiano per la Privacy, oggi conta molto poco. “Al potere pubblico, così come all’operatore privato, sia esso un’azienda o un giornalista, quello che oggi interessa realmente – con la crescente e pervasiva informatizzazione e telematizzazione di tutto – è il “dato vivo e personale” e questo rappresenta il tratto più significativo dei nostri giorni, in materia di privacy e libertà”, conclude.