Nuovo giro, nuova legislatura, nuovo governo. Tante facce nuove per nuove poltrone e nuovi incarichi. Alcune, tante, cose cambiano radicalmente, altre restano ferme alla partenza. Tra gli immutabili, uguale a se stesso da quasi 40 anni, il tema delle lobby. Lobbisti sì, lobbisti no, faccendieri, “sottobraccisti”, corrotti, sporchi e privi di regole. Che governi la sinistra, la destra o il centro, il ritornello è sempre quello. Vive un’alternanza di lunghi silenzi e (fugaci) momenti di notorietà. Questo è proprio uno di quelli. Complice anche un recente servizio de Le Iene sulle presunte bustarelle pagate dai “cattivi”, i lobbisti, ai “disonesti”, i politici, l’argomento è tornato prepotentemente alla ribalta. Titoloni sui giornali, servizi in tv, dichiarazioni stampa, e approfondimenti radiofonici (l’ultimo su Radio24, a Nove in Punto).
Tutto da rifare? Non esattamente. Ricominciamo, sì, ma da cinque.
Primo: a fine ottobre 2012, pochi mesi prima del termine della Legislatura, il Parlamento ha approvato la legge sulla prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità della pubblica amministrazione, o legge “anti-corruzione”, come l’ha definita la stampa. Una gran faticaccia. La legge è il risultato di una gestazione complessa e di una mediazione serrata, prima in Commissione, poi in Aula. Complessità acuita dalle forti resistenze esercitate dagli addetti ai lavori e diretti interessati, i lobbisti, critici soprattutto nei confronti delle norme sul famigerato “traffico di influenze illecite”. Norme inopportune, hanno sostenuto i critici, perché introducono un sistema di sanzioni più severe, senza bilanciarlo con regole più ampie – e meglio strutturate – sui diritti di chi, per professione, rappresenta interessi di categoria. Il traffico per fortuna è stato silenziato durante l’approvazione ed è praticamente sparito dal testo. Le polemiche no, quelle restano.
Secondo: pochi mesi più tardi, ad aprile 2013, la nuova Legislatura è in impasse per la tornata elettorale appena conclusa e per l’impossibilità di formare un governo. Il 12 aprile il gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali, chiamati in causa 9 giorni prima da Napolitano, pubblica un rapporto che illustra l’attività svolta. Il rapporto suggerisce l’adozione di misure concrete per disciplinare le lobbies. “I gruppi di interesse particolare” – cito testualmente – “svolgono una legittima ma non sempre trasparente attività di pressione sulle decisioni politiche”. Di qui una proposta che i “saggi” articolano in tre punti. Creare subito un albo dei portatori di interessi e collocarlo presso il Parlamento e le Assemblee regionali. Attribuire poi a tutti i professionisti registrati il diritto di intervento nell’istruttoria legislativa. Infine, obbligare le istituzioni a rendere esplicite le motivazioni delle decisioni che compiono, dando conto dell’interazione con i soggetti privati, per eliminare conflitti di interesse potenziali o attuali.
Terzo. La relazione genera dibattito, sui giornali, nelle aule d’università, nei convegni e, naturalmente, nelle stanze della politica. Il 9 maggio 2013 viene depositato al Senato da Riccardo Nencini, segretario del Psi, un disegno di legge sulla rappresentanza degli interessi. È il primo di quella che (presumibilmente) sarà una lunga lista. Ma è anche l’ultimo di un lungo elenco, di oltre 50 proposte, lunga 40 anni, nessuna arrivata mai a destinazione. Peggio, nessuna mai uscita dalle Commissioni. Un dato ancora più incredibile se considerato dal punto di vista cronologico. Tanto per dirne un paio: l’approvazione della riforma del diritto di famiglia ha richiesto appena 2 anni. Il processo mastodontico di riforma che ha devoluto alle regioni ed enti locali nuovi poteri è stato portato a compimento nell’arco di due sole legislature.
Quarto: in realtà anche l’Esecutivo dei tecnici aveva tentato, nei mesi precedenti, di intervenire sul tema. In un primo momento, era stata costituita una Commissione di valutazione presso il Dipartimento delle politiche europee; in seguito, a maggio 2012, il Governo aveva inserito nel programma di lavoro dei mesi successivi una menzione esplicita alla necessità di disciplinare le lobbies. Tentativi infruttuosi, purtroppo. I lavori della Commissione sono terminati a dicembre, senza che alla fase tecnica seguisse, come inizialmente auspicato, una fase politica, di proposta. Anche il programma delle azioni di Governo non è stato attuato nella parte relativa alle regole del lobbying. È vero che nel corso del dibattito parlamentare di approvazione della legge anticorruzione l’ipotesi è stata presa in considerazione. é vero anche che è stata scartata subito dopo per non appesantire ulteriormente l’iter di approvazione del provvedimento. Restano le esperienze maturate sul campo dai funzionari e dalle strutture. Ne faranno tesoro i prossimi, quando arriverà il loro turno.
Quinto: in compenso ha avuto esito positivo l’iniziativa promossa dal Ministero per le politiche alimentari e forestali. L’iniziativa, che prende vita nel 2011, entra ufficialmente a regime soltanto un anno più tardi, a settembre. L’Unità per la Trasparenza ha il compito di gestire l’attività di interazione tra il Ministero e il mondo delle lobbies. L’Unità gestisce un elenco dei portatori di interesse e cura le procedure di consultazione dei lobbisti iscritti, nelle fasi di elaborazione dei disegni di legge e degli schemi di regolamento per i quali è prevista obbligatoriamente l’analisi di impatto della regolamentazione. é presto per dire se sia la soluzione giusta. Sta di fatto che è la prima nel suo genere, e sta creando un capitale prezioso per chi verrà dopo.
A proposito di capitali. Questa è la legacy, come direbbero gli americani, lasciata in eredità dai vecchi ai nuovi. Stiamo a vedere quale e quanta sarà fatta fruttare?