Gli islamici di Londra scendano in piazza e si indignino, chiede Fiamma Nirenstein, giornalista di lungo corso e parlamentare, che in una conversazione con Formiche.net sul terribile attentato di Londra a colpi di machete, ragiona a mente fredda su come prevenire drammi del genere, invitando a scavare nel senso più profondo del concetto di integrazione.
Nirenstein tra l’altro è in partenza per Gerusalemme dove farà la sua Aliyah il “pellegrinaggio”, ovvero la salita che si doveva compiere per raggiungere Gerusalemme durante i tre pellegrinaggi prescritti per le festività di Pesach, Shavuot e Sukkot. E dopo il tributo a sorpresa che ieri sera le è stato organizzato dalla Comunità ebraica di Roma proprio per l’evento della doppia cittadinanza.
È sufficiente una semplice condanna da parte dell’Islam?
Mi accontenterei di veder scendere in piazza gli islamici che vivono a Londra e in tutte le altre città dove ci sono stati attentati terroristici. Non solo per l’atto in sé, quindi con una sconfessione del personaggio, ma soprattutto delle motivazioni che lo hanno prodotto.
Le prime parole dell’assassino sono state: “Lo dice il Corano, noi dobbiamo fare a loro quello che loro fanno a noi”. Come intervenire anche in ambito religioso e culturale per impedire la violenza?
Le motivazioni dell’assassino sono perfettamente coerenti con la solita litania islamista, non islamica. Quella frase scritta nella pagine del Corano è stata ripetuta dall’attentatore, dopo aver detto “it’s cool, it’s cool”, una tipica espressione da giovane occidentale mediata dalla sua totale identificazione inconscia con la cultura che lo ha nutrito. È come se fosse il cappello della sua londonesità. Ovvero un mostruoso ibrido legato non al desiderio di integrazione, ciò che noi sempre sogniamo dall’immigrazione, ma il contrario.
Quel riferimento che poi fa sulle donne ha un vago senso imperialistico?
Nei suoi occhi si trova l’immagine riflessa del peggior orientalismo, ignorante e gretto, che vede il rapporto occidente-oriente come un puro desiderio di dominio. Inoltre c’è la lettura distorta della guerra di Iraq e Afghanistan: in parte tutto ciò che gli hanno insegnato nella sua moschea.
Un riflesso che include anche la comunicazione occidentale?
Per quanto ci riguarda noi non sappiamo a nostra volta deciderci ad una visione più di buon senso degli eventi. Siamo presenti in Afghanistan per una serie di motivi che con l’imperialismo non hanno nulla a che fare. Invece l’attentatore insiste su questo punto.
Quale il passo successivo?
Mi chiedo: l’Islam è pronto a dire che il Corano non invita affatto a uccidere quelli che sono considerati nemici? Lo dica pubblicamente, accanto ai casi in cui ciò è permesso. Penso, ad esempio, che per difendere la propria vita e quella dei propri cari, ci siano casi in cui serve la forza, ma non è certamente paragonabile ai fatti di Londra o alla tragedia della maratona di Boston. Questo deve essere escluso in modo definitivo. L’Islam smetta di fingere che il terrorismo sia una lotta di liberazione. Inviterei i rappresentati dell’Islam a spogliarsi di queste barriere culturali e di mezzo. L’immigrazione islamica di per sé non è niente di male, ci tengo a sottolinearlo, non sono affatto razzista. Ma diventa qualcosa di male allorquando contiene degli elementi di violenza e disprezzo.
Fenomeni come le ronde musulmane presenti a Londra non rappresentano certo un ramoscello di ulivo…
Impediscono fisicamente di fumare un sigaretta o di bere una birra in periodo di Ramadan, di indossare una gonna al ginocchio. Penso che la bontà dell’integrazione si misuri sulla tolleranza, non sulla minaccia. Un passaggio che vivo in prima persona, perché sono sotto scorta dal 2001. Non si può sopportare la decapitazione solo perché si è altro rispetto a qualcuno o perché non si condivide quel modo di essere. Credo sia la base del buon senso, prima di tutto. È un dato talmente elementare che non capisco come non sia prescritto dalle più semplici norme di integrazione.
twitter@FDepalo