Dietro l’estenuante attività politica, moltissime novità stanno silenziosamente affiorando Oltre Tevere. Venerdì si è chiusa a Roma 65a Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana. In sé non è stato di sicuro un evento straordinario. I vescovi del nostro paese, infatti, si riuniscono regolarmente senza creare notizia. La Chiesa, però, ha un’influenza sempre decisiva nel formarsi della cosiddetta coscienza nazionale. E’, perciò, essenziale capire cosa stia avvenendo realmente all’interno di un cattolicesimo segnato da avvenimenti in un certo modo rivoluzionari.
La successione di Papa Francesco a Benedetto XVI è esemplificativa. Si è trattato di un passaggio che non avveniva così da quasi mille anni. E situazioni del genere hanno evidenti ripercussioni a livello sociale oltre che politico, cambiando gli equilibri istituzionali. Un primo effetto è tangibile nel rapporto tra i vescovi e la Santa Sede. Ieri, ad esempio, il comunicato finale dell’Assemblea ha fatto capire, tra le parole ovviamente soppesate ai media, i nuovi scenari che stanno prendendo forma sotto la guida sicura di Papa Bergoglio. La CEI, per bocca del suo presidente il cardinale Angelo Bagnasco, ha dichiarato il favore che adesso ha acquisito la funzione pastorale delle diocesi territoriali. Inoltre, egli ha dichiarato il grado moderato di fiducia che è attribuito all’esperimento portato avanti con tenacia dal governo Letta, con riferimento alla crisi economica enorme che flagella il Paese.
In effetti, il valore sociale della Chiesa sta proprio nel fatto che esprime la “voce della gente”, vale a dire i disagi e l’aspirazione reali che il popolo vive nelle sue viscere profonde. E, d’altronde, così è sempre stato. Anche se la novità del momento è che il Papa valorizza e sostiene con maggiore convinzione, rispetto al pontificato di Benedetto XVI, la dimensione comunitaria particolare dei pastori. Fino a pochi mesi fa, appunto, era la Segreteria di Stato a tenere i rapporti politici con lo Stato italiano, con un’amministrazione necessariamente centralizzata e ufficiale della diplomazia che non prevedeva l’ascolto della base. Oggi il Papa ama definirsi, invece, vescovo di Roma, per il quale la diocesi della capitale assume un rango esclusivo nella realizzazione concreta della sua missione apostolica universale, facendo diventare la Chiesa italiana protagonista e titolare dei rapporti diretti con la classe politica.
Ciò sembra un chiaro ritorno alla gestione attuata efficacemente durante il pontificato di Giovanni Paolo II dal cardinale presidente della CEI Camillo Ruini. Tuttavia, rispetto a prima, ora è il Papa che diviene primo attore tra i vescovi. E questa disposizione ha indubbiamente dei contraccolpi enormi sul futuro politico italiano. Il più evidente è che la Chiesa non stabilirà più delle relazioni di Stato con chi è al governo, seguendo la linea ufficiale “dall’alto” tenuta con scaltrezza del Segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone, ma farà pesare la sua forza direttamente “dal basso”, dando un megafono alla vita dei cittadini, utilizzando l’influenza che le diocesi esercitano naturalmente sulla coscienza civile dei fedeli.
Ciò produrrà qualcosa d’inedito nel nostro paese. Analogamente a quanto avviene in altri contesti territoriali in cui la presenza cattolica è vigorosa, anche in Italia la Chiesa non farà leva sul Vaticano, ma sulla vitalità sociale e dunque democratica che ha la cattolicità collettiva nel suo insieme.
D’altronde, in occasione della celebrazione dei 150° anniversario dello Stato unitario, era emersa già con chiarezza la potenza unificatrice che a livello nazionale ha avuto la fede popolare sia nel periodo monarchico e sia in quello repubblicano. Dobbiamo attenderci, pertanto, in avvenire una Chiesa più attenta a veicolare la morale civile italiana, che potrebbe avere un ruolo perfino cruciale qualora si aprisse veramente quella fase costituente annunciata tra tante difficoltà e incertezze la scorsa settimana dal ministro Quagliariello.
D’altronde, solo se l’Italia riscoprirà la sua vera identità romana, sarà possibile vivere realmente un momento di rifondazione costituzionale. Magari proprio in nome di quella condivisa anima democratica nazionale unitaria del cattolicesimo oggi espressa in modo istituzionale dalla scelta di Papa Francesco a favore della diocesi capitolina e della nazione di cui è primate.
Una ghiotta occasione politica, insomma, che è bene che l’Italia non si faccia scappare.