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Papa Francesco ci stupirà. Parla il vaticanista Thavis

Gli ultimi mesi travagliati del pontificato di Benedetto XVI, l’elezione meno inaspettata del previsto di Francesco, i cambiamenti che potrebbero scuotere la Chiesa nell’immediato futuro.

Tornato in Minnesota dopo trent’anni passati a raccontare tutto ciò che si muoveva all’ombra del Cupolone, il vaticanista John Thavis ha mandato in libreria un testo che ripercorre fatti grandi e piccoli dal 1978 a oggi: “I diari vaticani – poteri e retroscena. Il racconto di trent’anni vissuti all’ombra del Papa” (Castelvecchi, pp. 288, 25 euro).

Thavis è uno che di Vaticano ne sa. A lungo caporedattore dell’ufficio romano del Catholic News Service (la più grande e datata agenzia di notizie religiose al mondo), ha lavorato con il Daily American, l’Associated Press, Abc News e Wine Spectator.

E’ stato anche presidente dell’Associazione dei giornalisti che operano tra le mura leonine (unico americano a ricoprire quell’incarico). Conversando con Formiche.net ripercorre i grandi eventi degli ultimi mesi, ipotizzando anche le prossime mosse di Bergoglio.

Nell’ultima parte del suo libro ripercorre le tappe che hanno portato alla rinuncia di Benedetto XVI. Fa capire che nulla è avvenuto per caso, che in realtà i segnali c’erano già da tempo. Ritiene che gli scandali dell’ultimo anno e mezzo non abbiano inciso per nulla sulla decisione di Ratzinger?
Ritengo che tutti gli scandali degli ultimi mesi di Benedetto – i leaks, le lotte di potere, la mancanza di trasparenza fiscale e finanziaria – abbiano pesato nella sua decisione di dimettersi. Benedetto non era un manager, e pareva sempre più chiaro che la Curia romana richiedeva una mano forte per mettere ordine. Sono certo che l’episodio del maggiordomo Paolo Gabriele ha ferito il Papa tedesco, che per altro è un uomo molto sensibile. Quindi, sì, gli scandali senz’altro erano elemento importante, ma non sono stati decisivi: lui stesso ha ammesso con grande onestà e umiltà che l’energia fisica stava venendo sempre meno.

Per molti, l’elezione di Jorge Mario Bergoglio è stata sorprendente. Secondo lei, è nata in Conclave oppure era già “in lavorazione” da molto tempo, e che quindi il nome del gesuita argentino sia entrato già forte in Sistina?
Credo che Bergoglio sia entrato in Conclave già come candidato forte. Due giorni prima della chiusura delle porte della Sistina, infatti, alcune fonti mi indicavano l’arcivescovo di Buenos Aires come figura che era emersa considerevolmente nelle congregazioni generali. Era quindi tra i più papabili (tant’è che nel mio blog scrissi che la stella di Bergoglio stava salendo). Non  credo quindi che il gesuita argentino sia stato un candidato compromesso. Aveva parlato chiaro e forte durante le congregazioni generali, proprio come sta facendo ora in qualità di Pontefice.

Nei “diari vaticani” lei affronta anche la grande frattura interna alla chiesa sulla liturgia sorta con il Concilio. Pensa che il tema possa riemergere ora con un Pontefice che, come Francesco, sembra meno attento al recupero di elementi liturgici caduti in disuso negli ultimi decenni? Mi riferisco al recupero del latino (e anche al motu proprio ratzingeriano Summorum Pontificum che disciplina la celebrazione della forma nel vecchio rito), a paramenti che non si vedevano da tempo, alla solennità delle cerimonie.
A me pare che Francesco abbia meno interesse a entrare nelle “guerre liturgiche” degli ultimi anni. Certo, il suo stile tende verso il semplice, e non credo che i paramenti antichi saranno più riesumati. D’altra parte, non credo che Francesco abbia intenzione di cancellare i cambiamenti fatti nei testi liturgici – chiederebbe troppo tempo e troppe risorse. La Messa tridentina probabilmente rimarrà un’opzione, ma non mi aspetto grande sostegno da Francesco per estenderne l’uso.

In questi primi mesi di Pontificato, Francesco ha più volte posto l’accento sull’esigenza di una maggiore collegialità all’interno della Chiesa. Pensa che questo indichi che ci sarà una riforma completa della governante vaticana con un peso sempre maggiore degli episcopati locali rispetto alla curia romana?
Il fatto che Francesco parli costantemente di sé come vescovo di Roma non è casuale; è un segno che la collegialità sarà una sua priorità. Credo che la sua elezione apra un nuovo orizzonte sia nel dialogo ecumenico (dove il ruolo del Papa è da tempo la questione cruciale) sia nel dialogo interno nella Chiesa cattolica (dove i vescovi si sentono spesso emarginati.) Il fatto che abbia nominato un gruppo di cardinali per collaborare alla riforma della Curia romana e al governo della chiesa è molto importante, soprattutto perché in questa commissione solo uno dei membri è cardinale della curia. Penso che l’obiettivo sia quello di trovare formule o strutture nuove per aumentare la partecipazione dei vescovi alle decisioni che vengono presea Roma. Un compito non facile, considerando anche che nel mondo ci sono più di 5mila vescovi.

Incontro Bergoglio-Ratzinger, Papa Francesco “siamo fratelli” (fonte video: Euronews)



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