“Il ballottaggio di oggi, nella città simbolo della destra, ha plasticamente dimostrato l’estinzione della tradizione di una destra che ha definitivamente ceduto il passo al Pdl: è stata caimanizzata”. Legge così il ko di Gianni Alemanno, ultimo esponente di quel mondo post Fiuggi, il giornalista e scrittore Luca Telese, volto serale de La7 con la striscia “In Onda”, che al Pd manda a dire che…
Alemanno dice che il problema del centrodestra non è solo Roma, ma in tutta Italia: “Non abbiamo più nemmeno un sindaco importante”. Condivide?
Se così fosse non sarebbe un’attenuante, ma un’aggravante. Significherebbe che la crisi politica di cui è preda il centrodestra, a Roma trova una delle sue manifestazioni più lampanti. É il peggior risultato di un sindaco uscente al primo turno e uno dei peggiori di tutti i ballottaggi. Una delle vittorie più nette degli ultimi anni di cui ho memoria è quella di Zaia contro Bortolussi in Veneto, e Alemanno, dopo aver governato, ottiene un risultato inchiodato al 30%: una percentuale veramente preoccupante che riguarda in primis lui, ma che non si può dire riguardi solo quella parte politica.
Secondo Claudio Velardi a Roma ha vinto Goffredo Bettini: è così?
Ha vinto perché ha creduto in questa candidatura, però direi che per primo ha vinto Marino. Che, proprio quando tutti gli dicevano che era un pazzo a candidarsi, ci ha creduto e si è buttato. Io stesso pensavo che la sua genovesità potesse essere un handicap. E invece si è aggiudicato prima le primarie, poi le comunali: cosa si può dirgli di più?
Dopo Pisapia a Milano, a Roma un altro primo cittadino di estrazione radicaleggiante?
Intanto Pisapia non era nel Pd, mentre Marino lo è. Ha una sua specificità, non lo definirei in quei termini: in fondo ha fatto due legislature nel centrosinistra, è stato un dirigente del partito, ha partecipato alle primarie. Insomma, non è un outsider che arriva dal nulla.
Mentre la destra è definitivamente archiviata?
Si chiude la tradizione post missina. Questo ballottaggio cancella la storia di Fiuggi. La parabola di An iniziò quando il Msi prese a Roma con Fini nel 1993 il 47%, con ancora la fiamma in bell’evidenza. Adesso, nello spazio di un’epoca, in un ventennio se volessimo essere più perfidi, non c’è più nessun dirigente di prima linea di quel mondo, fatta eccezione per il solo Gasparri nel Pdl. Il ballottaggio di oggi, nella città simbolo della destra, ha plasticamente dimostrato l’estinzione della tradizione di una destra che ha definitivamente ceduto il passo al Pdl: è stata caimanizzata.
Il Pd, intanto, centra undici su undici città: le larghe intese portano i primi frutti?
No. Intanto perché le maggioranze che hanno vinto non sono maggioranze di larghe intese. Volendo semplificare, potremmo dire che la gente vota il Pd quando non fa quella scelta. Poi vedo questa ormai nota ricorrente, ovvero che il Pd e il centrosinistra riescono come coalizione a trovare sempre un assetto vincente alle amministrative, con dei candidati anche credibili. Mentre si perdono quando si tratta di esprimere una leadership nazionale. Per cui definirei le vittorie dei democratici alle comunali come delle gabbie dorate da cui, fino ad ora, non hanno dato l’impressione di saper uscire.
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