In principio era l’interprete di una corrente, la destra sociale, composta con pazienza e dedizione negli anni. Ma una volta giunto al potere della Capitale, osserva Alessandro Giuli vicedirettore del Foglio, non ha fatto nulla di destra.
Fenomenologia di Gianni Alemanno, sconfitto nella corsa al Campidoglio dal candidato che nella storia di Roma ha vinto con il minor numero di voti.
Un suo tweet recita: “Non restandogli più altro da rinnegare, il genero di Pino Rauti perse Roma sconfessando anche la Destra sociale”. Oggi la destra in Italia è finita?
Sì, perché i suoi ultimi due atti pubblici da sindaco sono stati l’intervista che ha fatto con noi sul Foglio dove tentava anche di tornare un po’ Lupomanno, in cui ha fatto un discorso tutto sommato comprensibile, chiaro e aggressivo anche con una dimensione nazionale. In coda alla sua sindacatura, sembrava aver trovato la forza che non aveva dimostrato in cinque anni.
Ma poi?
Lo stesso giorno è andato a negoziare per quattro voti con gli amici di Fermare il declino, dicendo di aver rivisto anche le sue posizioni in materia di Stato e liberismo. Definendosi, sostanzialmente, anche al di là della dimensione della destra sociale. Ma il punto di domanda è: cosa gli restava da questa débacle?
La sua storia personale e politica?
Direi un’eredità diafona, cadùca e malconcia: ma pur sempre un’eredità, quella di una corrente che ha costruito pazientemente nel corso degli anni con Storace e i consigli del suocero Pino Rauti. Da lì avrebbe potuto ricominciare in un certo senso.
Invece?
Beh, adesso si ritrova a fare il capo dell’opposizione di Ignazio Marino, il sindaco eletto con meno voti nella storia della Capitale, senza neanche un segno di riconoscimento tangibile addosso. Chi è Alemanno oggi? E’ uno che ha amministrato Roma con una rete di potere, ma in nome di che? Con quale storia? Con quale passato e con quale prospettiva? Nessuna, perché ha rinunciato anche a quella.
Roma, una città di destra, dove la destra una volta che riesce a governare lo fa male e ri-perde: masochismo o pochezza della classe dirigente?
Roma è una città strana. Vive o di grandi coinvolgimenti emotivi, quindi sull’onda dei fattacci di cronaca, premiando il sindaco che si candida a fare lo sceriffo della destra-destra; oppure Roma riscopre quel suo fondo limaccioso, un po’ democristiano che porta i romani o a votare per il vincitore annunciato o a restarsene a casa. In assenza o di una “bastonata”, come accadde con il caso della Reggiani, o di uno choc che la ridesta per cui le viscere riemergono, Roma si ricopre una città che fondamentalmente chiede, non dico cani lupo ai semafori, ma un po’ di ordine. Oppure si adagia in una forza di languida e cenciosa autogestione: ciò che Alemanno ha di fatto praticato e fatto praticare ai cittadini romani.
Quindi una sconfitta che va al di là dell’ampiamente previsto?
Era evidente che Roma, seppur città di destra, non si sarebbe mobilitata per uno che tutto sommato di destra nulla ha fatto in cinque anni.
Berlusconi avrebbe preferito Giorgia Meloni: ma è solo un questione di nomi?
In linea di massimo sì. Meloni avrebbe comunque pagato l’insipienza della sindacatura alemanniana, però avrebbe perso meglio e avrebbe dato un segno di discontinuità.
Nel Pdl però hanno scelto di ripuntare su Alemanno…
Sono prevalsi, credo, ragionamenti politicisti: Alemanno non avrebbe voluto candidarsi, come non lo avrebbe voluto fare la volta precedente quando vinse, sperando fino all’ultimo che Ferrara trovasse un accordo con Berlusconi per presentarsi lui. In questo caso ho motivo di pensare che gli ex colonnelli di An non volessero immolare la non più acerba Meloni. E pretendendo che Alemanno bevesse fino in fondo la feccia del calice allestito in cinque anni.
Quali i riverberi, politici e nazionali, per il Pdl?
Stanno cercando di scollegare le amministrative dal dato nazionale e li capisco. Ma il punto è un altro: andando bene (o non malaccio) alle amministrative, così come ha fatto il Pd, si può mascherare meglio la debolezza di un governo come quello di Letta dicendo che “tutto sommato gli elettori non ci stanno prendendo a legnate e pian piano la Merkel inizierà a compatirci”. Questo il Pd può farlo, mentre il centrodestra no.
Perché?
Il Pdl non può più dire che il governo Letta “è la nostra sicurezza perché ci dà prospettiva”. Adesso hanno un grande problema in un partito che sta collassando su se stesso, che mobilita solo voti di opinione quando Berlusconi ci mette anima e core. Ma che non può durare.
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