Uno dei primissimi artefici della nascita di Forza Italia, il professor Giuliano Urbani, già ministro e deputato, racconta a Formiche.net perché quell’esperienza leggera e movimentista non è stata innestata anche nel Pdl. Urbani, partendo dalla sconfitta alle amministrative, punta il dito contro classi dirigenti territoriali non all’altezza, alleati poco propensi alla rivoluzione liberale e feudatari che hanno bloccato quell’idea.
Sarebbe un errore se il Pdl si rinchiudesse ancora dietro il paradigma “si perde perché non c’è Berlusconi in campo”?
La premessa è che la sconfitta è sonora, ma facile da spiegare. Perché si tratta di un partito nato dopo un movimento nato dall’alto, partendo dal vertice, che non ha mai lavorato veramente per potenziare “il basso”. Intendendo non l’elettorato, ma la classe dirigente locale e territoriale: che è stata sempre raffazzonata. Per cui in periodi di vacche grasse quando il vertice, ovvero Berlusconi, traina tutti allora si nuota di meno. Di contro quando il leader, per qualche ragione, non tira, quella classe dirigente territoriale che non è stata selezionata con criteri di forza autonoma naturalmente crolla: sono solo brutte copie.
Dopo la diagnosi, qual è la prognosi?
Personalmente sono fra quelli che ritengono questi risultati una straordinaria occasione. Perché al momento, nel Paese, i partiti sono alla deriva e tutti dei veri e propri participi passati: per cui vanno reinventati, compreso quello di Berlusconi. E farlo con formule differenti, a seconda del sistema elettorale scelto. Potremmo avere dei piccoli comitati elettorali territoriali, oppure partiti prevalentemente regionali. Sarebbe più facile reinventare il partito del Cavaliere, proprio perché non c’era prima.
Qual è stato il primo passo falso?
C’è stato un puro formarsi di liste elettorali calate dall’alto e nulla di più.
Perché Forza Italia non ha influenzato il Pdl?
Quella era un’altra cosa: una grande speranza che agli inizi ha vissuto di luce intensissima, perché prometteva niente di meno che la rivoluzione liberale e la seconda repubblica. Purtroppo ciò non è stato possibile in quanto si sono allargate le alleanze ed esse son state caratterizzanti in altro modo.
Quindi l’errore di fondo lo individua nella nascita del Pdl?
Mi dica cosa mai possano centrare con la rivoluzione liberale il mio amico Fini o il mio amico Casini, o Bossi. La conclusione è che queste alleanze hanno annacquato in maniera inesorabile la rivoluzione liberale. Ma il paradosso è che ha perso significato anche l’espressione Forza Italia.
Per contenuti o immagine?
Vi era un’incitazione all’Italia, ovvero agli interessi collettivi del Paese. Invece sono finiti per prevalere addirittura istanze personali, nel caso di Berlusconi, e poi c’è un fatto: è mancata l’Italia. Dire “Forza Italia” senza che poi l’Italia ci venga dietro è impossibile: e a causa di feudi e feudatari, contratti paraideologici e fazionismo allo stato puro.
Quindi condivide la tesi di Galan, che attribuisce il ko al fatto che il Pdl sia diventato un partito?
Ci siamo rivolti a un pezzetto d’Italia in contrapposizione ad altri pezzetti. Ma poi non userei nemmeno il termine partito, è un’espressione che tradisce questo fallimento. In quanto Forza Italia era un movimento di opinione pubblica, che non voleva trasformarsi in struttura partitica con tutti i limiti del caso. I partiti, per definizione, sono aggregati burocratici. E lo dico senza arrivare alla teorie della sociologia del partito di massa.
Come si sarebbe potuta limitare quella logica burocratica, allora?
E’ ancora il paradosso di oggi: più organizzazione partitica si cerca, più partito si diventa, più ci si omologa, meno possibilità di essere movimento si hanno. E più si finisce per non servire più a nulla. Sorrido quando sento di parlare di partiti che devono essere organizzati: significa che siamo lontani mille miglia da quello che serve realmente.
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