“In nome del popolo italiano” è un film di Dino Risi del 1971. A rivederlo oggi sembra la profezia delle vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi. Nel film si racconta di una indagine che si trasforma in un conflitto tra due differenti personalità interpretate, rispettivamente, da Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman.
Il primo recita il ruolo di un magistrato integerrimo (che legge L’Unità) incaricato di indagare sulla morte di una giovane escort. Alcuni indizi gli fanno pensare ad un omicidio; del delitto sospetta un imprenditore (interpretato da Gassman) “palazzinaro”, inquinatore, corruttore privo di scrupoli, che della ragazza era cliente. Quest’ultimo avverte che il magistrato ha dei pregiudizi etici e ideologici nei suoi confronti e, pertanto, non avendo un alibi per la notte in cui la giovane è morta, si mette nei guai da solo procurandosene di fasulli che vengono smentiti uno dopo l’altro. Così, l’imprenditore-Gassman viene associato alle patrie galere con l’imputazione di omicidio. Poco dopo la chiusura dell’indagine e l’arresto, il magistrato-Tognazzi trova delle prove inconfutabili dell’innocenza del “palazzinaro” (l’escort si era suicidata), ma, considerando quel personaggio la parte peggiore del Paese, le distrugge.
In sostanza, l’imprenditore non è chiamato a pagare per ciò che ha fatto, ma per quello che è. Tanto che in una scena del film il magistrato afferma di essere stanco di applicare delle leggi che consentono alle persone come il suo antagonista di tutelare solo i propri interessi. A Silvio Berlusconi sta capitando la medesima sorte. Con lui i giudici hanno invertito, fin dalla sua discesa in campo nel 1994, il sillogismo della giustizia che ora suona così: premesso che il Cavaliere deve essere posto in condizione di non nuocere, spetta ai tribunali trovare il modo di farlo con una parvenza di legittimità. Un’operazione tutt’altro che difficile visto che Silvio Berlusconi ci ha messo tanto del suo. Il leader del Pdl è un uomo assediato, a cui si stanno chiudendo, una dopo l’altra, tutte le vie d’uscita.
E’ in arrivo la sentenza nel processo Ruby dove l’implacabile pm, Ilda Boccassini, ha chiesto la condanna a sei anni e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici (nel procedimento per i diritti Mediaset sono già state comminate delle sentenze di condanna). Il 27 giugno è prevista l’udienza in Cassazione per il megarisarcimento di 560 milioni di euro alla Cir di Carlo De Benedetti per il Lodo Mondadori. Nel mirino, infatti, non c’è solo la persona del Cavaliere, ma anche la sua azienda: del resto era Achille Occhetto che nel 1994 voleva “mandarlo in giro con il piattino”. In quella stessa giornata si svolgerà a Napoli l’udienza preliminare per il rinvio a giudizio per il reato di corruzione dello stesso Berlusconi, di Sergio De Gregorio e di Valter Lavitola.
Dopo la pronuncia della Corte costituzionale sul legittimo impedimento, il Cavaliere si aspetta il peggio, tanto che il suo legale Niccolò Ghedini si è lasciato sfuggire che “Silvio rischia la libertà personale”. Si vede che il collegio di difesa non esclude nemmeno una richiesta d’arresto sulla quale dovrebbe pronunciarsi il Senato. A Silvio Berlusconi si attribuisce una forte preoccupazione per il suo futuro (“la mia situazione non è risolvibile con questo governo ma con una rivoluzione”). Soprattutto il Cav. vede venir meno le possibilità di sottrarsi allo scacco matto a cui è sottoposto. L’ultima risorsa che gli rimane – sempre più esile – sta tutta nella politica. Cerca di prendere come ostaggio il Governo Letta a cui chiede l’impossibile (l’abolizione dell’Imu e la non applicazione del punto di Iva) allo scopo di guadagnare consensi per un’eventuale elezione anticipata. Ma anche la possibilità di rovesciare il tavolo appellandosi al popolo sovrano rischia di trasformarsi in una chimera.
Il Pd sta lavorando – in silenzio – ad una maggioranza alternativa. La mossa di Adele Gambaro ha un preciso significato: la senatrice espulsa dal M5S ha le caratteristiche (non a caso è eletta in Emilia Romagna) per diventare leader di un gruppo di fuoriusciti che possa far parte di una ‘’maggioranza per il cambiamento’’ (Pd + Sel + grillini redenti e magari qualche cane sciolto di altri gruppi). Non è detto, allora, che il governo Letta non abbia alternative. Come se non bastasse c’è anche il problema delle ineleggibilità sollevata dal M5S. Probabilmente altri eventi renderanno inutile questa prova di forza; ma il Cavaliere non deve dare per scontato la conferma, al Senato, del medesimo orientamento espresso da vent’anni alla Camera. Non sono tanti i senatori del Pd e di altri partiti capaci di dimostrare il coraggio necessario per votare contro l’ineleggibilità di Berlusconi. Se tanti settori della magistratura sono pronti a scrivere le sentenze di condanna senza che siano stati provati i reati d’accusa, perché questo scrupolo dovrebbero averlo degli avversari politici allevati nell’odio verso il Cavaliere?