Nel chiuso del Monastero Mater Ecclesiae, all’ombra di sguardi indiscreti e riparati dal possente cancello che separa il vialetto d’accesso dalla struttura appena ristrutturata, Benedetto e Francesco si incontrano spesso. Parlano, si confrontano, si salutano. Discutono dell’enciclica a quattro mani che uscirà ad autunno. D’altronde, lo stesso Bergoglio aveva fatto capire nel suo intervento a braccio ai membri del sinodo ordinario giunti a Roma che con il predecessore si era instaurato un rapporto di consultazioni frequenti. E ora la conferma arriva da un intervento sul Catholic News Service di Padre Stephan Otto Horn, presidente del Ratzinger Schulerkreis, il Circolo che riunisce gli ex allievi del teologo bavarese eletto Pontefice nell’aprile di otto anni fa.
Ratzinger e il convegno dei suoi ex allievi
Horn ha incontrato privatamente il Papa emerito qualche settimana fa, ai primi giorni di giugno: “Fisicamente l’ho trovato fragile – ha detto –, ma ha 86 anni e a quell’età non si è più tanto forti”. La memoria, però, era sempre “fresca”, gli occhi “vivi e gioiosi”. Nessun pentimento per la scelta compiuta lo scorso 11 febbraio, solo serenità e consapevolezza di aver fatto la cosa giusta, aggiunge il presidente del Ratzinger Schulerkreis. Intellettualmente Benedetto XVI è ancora vivace, al punto da aver indicato il tema della riflessione per il consueto convegno di fine estate che si terrà a Castel Gandolfo: “La questione di Dio sullo sfondo della secolarizzazione”. Una questione su cui il teologo tedesco tanto aveva insistito durante il Pontificato, collegandola alla necessità di dar vita a una nuova evangelizzazione (cosa poi fatta propria, a suo modo e con il suo stile, da Papa Francesco. Ma Benedetto, stando a quanto dice Padre Horn, ha scelto anche l’ospite d’onore, il relatore del seminario: Rémi Brague, filosofo della Sorbona, membro dell’Académie catholique de France e vincitore della seconda edizione del Premio Ratzinger per la Teologia nel 2012.
Castel Gandolfo senza Papa
A Castel Gandolfo, però, il Papa emerito non ci andrà. E questo nonostante Francesco avesse più volte insistito per invitare il predecessore a prendersi un po’ di riposo sulle rive del Lago Albano, località in cui Benedetto XVI si rifugiava non appena poteva. Negli ultimi anni, poi, a causa dei problemi di ipertensione, si trasferiva a Castello per tutta l’estate, senza più trascorrere un paio di settimane di relax sulle Alpi. Ma il nascondimento agli occhi del mondo continua, la decisione è presa e Ratzinger non vuole creare problemi: il Papa è uno, ed è quello regnante. Spetta a lui frequentare le stanze della villa pontificia, e se non ci andrà, pazienza. Castel Gandolfo rimarrà vuoto. Che Francesco rimanga a Roma è certo. A Buenos Aires non era solito prendersi vacanze e da Pontefice ha già fatto sapere di voler approfittare della tranquillità di Santa Marta per lavorare durante il mese di agosto. Nessun trasferimento neanche a luglio, nei giorni precedenti il viaggio in Brasile per la Giornata mondiale della Gioventù.
Piena continuità teologica con Bergoglio
Prima delle dichiarazioni del presidente del Ratzinger Schulekries, era stato lo scrittore Manfred Lutz ad aver rassicurato in un’intervista alla Bild sullo stato di salute di Benedetto XVI. Anche lui era stato ammesso al Mater Ecclesiae per un colloquio di trenta minuti con il vecchio amico Ratzinger. “Era spiritoso, presente, interessato e pieno di umorismo come sempre”, diceva Lutz. Il Papa emerito gli aveva spiegato di vivere “come un monaco: prego e leggo”. In quella circostanza, Benedetto aveva dichiarato di essere del tutto “in linea” con il successore “sul piano teologico”. D’altronde, dalla povertà alla condanna del carrierismo, molti temi su cui insiste in questi mesi Francesco erano propri anche del repertorio ratzingeriano. A cambiare è lo stile.