Che potesse essere una settimana importante per gli equilibri degli assetti governativi della Chiesa di Papa Francesco lo si percepiva da giorni. Oltretevere si danno infatti per imminenti rimozioni, promozioni e trasferimenti di prelati “non in linea” con il nuovo corso targato Bergoglio.
Nella serata di ieri, infatti, una nota della Sala Stampa vaticana faceva sapere che “il direttore generale Paolo Cipriani e il suo vice Massimo Tulli” avevano rassegnato le dimissioni.
Una scelta, scrivono entrambi, “nell’interesse dell’Istituto e della stessa Santa Sede”. Ad assumere la carica di direttore generale ad interim è l’attuale presidente, il tedesco Ernst von Freyberg, nominato pochi giorni prima della fine del Pontificato ratzingeriano e fortemente voluto dal segretario di Stato, Tarcisio Bertone.
Ma anche la posizione di von Frayberg è debole e la sensazione è che il suo mandato sia a scadenza molto limitata.
Dimissioni sollecitate da Bergoglio
Il Papa non ha gradito la campagna mediatica con cui ha difeso l’operato fin qui svolto dalla banca e ha delineato un programma per i prossimi mesi. Particolarmente sgradita, poi, è stata la decisione di avvalersi di una nuova società di consulenza esterna, quando in Vaticano – hanno fatto notare i più critici verso la gestione bertoniana dello Ior – esistono già strumenti e organismi più che adatti. Il Corriere della Sera scrive che le dimissioni di Cipriani e di Tulli sono state “condivise e forse sollecitate dallo stesso Pontefice”. Non c’è dubbio che entro le mura leonine l’intervista al Giornale con cui il direttore generale spiegava che “per la Chiesa un’istituzione finanziaria non è solo necessaria, ma anche doverosa” sia stata considerata come l’arroccamento definitivo e inutile dentro il fortino prima della rivoluzione ormai imminente di Bergoglio.
Dimissioni per evitare il licenziamento
Ad accelerare i cambi al vertice, secondo quanto scrive Fiorenza Sarzanini sul quotidiano di via Solferino c’è l’imminente conclusione dell’inchiesta sulle attività dell’Istituto che ha sede nel torrione di Niccolò V, a fianco del Palazzo apostolico. Un’inchiesta che, aggiunge la giornalista del quotidiano di via Solferino vede “in cima all’elenco degli indagati proprio il direttore Paolo Cipriani e il suo vice Massimo Tulli, entrambi sospettati di aver avallato gli illeciti che venivano compiuti”. Ecco perché i due non avrebbero fatto altro che anticipare un licenziamento “che sarebbe stato inevitabile”.
Sconfitta su tutta la linea per Bertone
Un terremoto che rischia di accelerare anche la sostituzione del segretario di stato. Tarcisio Bertone, ormai prossimo ai 79 anni, è il grande sconfitto della vicenda. Non è bastato esporsi in prima persona per far nominare von Freyberg presidente da un Ratzinger ormai dimissionario, combattendo chi nei sacri palazzi definiva poco limpida e avventata tale mossa. Nelle congregazioni cardinalizie pre-Conclave, poi, l’operato di Bertone era stato al centro di accuse da parte di diversi cardinali. Particolarmente duro fu il prefetto per gli Istituti di Vita consacrata, Joao Braz de Aviz, che aveva addossato al segretario di stato ogni responsabilità per il malgoverno curiale degli ultimi anni. E che lo Ior fosse al centro di conciliaboli e discussioni più o meno franche in quelle settimane lo dimostra anche la richiesta dei cardinali Onaiyekan, Schonborn e Maradiaga di rivedere gli assetti e la missione dell’Istituto per le opere di religione. Posizioni condivise dello stesso Bergoglio, che a fine aprile (citando espressamente lo Ior) ricordava che gli organismi burocratici “sono utili, ma fino a un certo punto”.
Von Frayberg cambia idea e approva il passo indietro
La sconfitta per Bertone sarebbe totale se, come scrive oggi Repubblica, per l’ex presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi (licenziato in tronco un anno fa con una procedura a dir poco insolita) “scattasse l’archiviazione”. La situazione si farebbe poi delicatissima anche per il successore di Gotti Tedeschi, il cavaliere di Malta Ernst von Freyberg, che solo qualche settimana fa si diceva convinto delle capacità del gruppo dirigente: “Cipriani, Tulli e io costituiamo un buon team, lavoriamo davvero in modo felice insieme”. Oggi, invece, lo stesso numero uno della banca cambia opinione e afferma che le dimissioni del direttore generale e del suo vice sono state necessarie per “accelerare il ritmo del processo di trasformazione” in atto, perché “è chiaro che abbiamo bisogno di una nuova direzione”.