In Italia un’azienda è più facile venderla che portarla avanti. È la triste, prima, considerazione che viene in mente leggendo la notizia della vendita di Loro Piana, storica maison di moda italiana, ai francesi di Lmvh. L’operazione è stata fatta secondo le regole del mercato e, speriamo (a differenza dell’M&A di Bulgari), nel rispetto delle norme fiscali.
Tutto bene quindi, salvo l’amarezza che, ancora una volta, si brindi con lo champagne invece che con vino italiano. La crisi economica e il sentimento anti-manifatturiero che spira forte dalle nostre parti miscelandosi insieme formano una base logica formidabile per quel poco/tanto che ancora resiste del capitalismo italiano e che ora si sente più legittimato che mai a mollare o a cedere il passo.
Il risultato della crisi degli anni ’90 fu la fine dell’industria chimica e il consistente ridimensionamento di altri “grandi” comparti (tlc ma anche grande distribuzione). Ora siamo ad un punto che vorremmo non definire di epilogo. Molte piccole e medie imprese chiudono, quelle con maggiore capitale immateriale (brevetti, brand, capacità di progettazione) sono comprate ai saldi: si veda l’intenso shopping di fabbrichette nel Triveneto. Le aziende poi ad alto valore aggiunto in settori specifici, come quelli della moda e della gastronomia, dismettono il vessillo tricolore e finiscono per essere preda di capitali stranieri.
Magari ci sbagliamo ed i nuovi proprietari del Made in Italy sapranno fare benissimo per loro e per l’Italia ma i dubbi sono quanto meno legittimi.
Non si tratta di elevare barriere protezioniste, ci mancherebbe pure questa! No, il tema è un altro. Invece di scagliarsi contro Fiat spinti da un furore ideologico di altri tempi, dovremmo riflettere sul fatto che ogni impresa italiana è una fonte di ricchezza e orgoglio del Paese.
Invece di immaginare interventi normativi per limitarne l’operatività sino a renderle fuorilegge a prescindere, dovremmo elogiare ed ammirare i nostri imprenditori ed i nostri lavoratori, gli uni e gli altri guardati con rispetto e stima fuori dai confini nazionali. Il governo italiano, con Enrico Letta e Angelino Alfano e non solo loro, dovrebbe passare dalla retorica della lotta alla disoccupazione con pochi e tardivi fondi Ue ad una vigorosa campagna pro-impresa accompagnata da misure concrete, anche sfidanti l’ortodossia di Bruxelles e dei nostri amati (e spietati) concorrenti francesi e tedeschi.
La protezione dei nostri asset non può limitarsi alle sole pur fondamentali infrastrutture critiche (le reti) e la nostra difesa non può limitarsi alla pur eccezionalmente lodevole Cassa Depositi e Prestiti. Serve un clima “business friendly”. Per il momento, registriamo solo un clima “sell friendly”. E non va affatto bene.