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Affaire Kazakhstan, il governo e la toppa che apre un altro buco

La frana del pasticcio, politico più che giuridico, che si è determinato fra Roma, Londra ed Astana è divenuta una valanga che ha finito per travolgere Angelino Alfano ed Enrico Letta.

L’espulsione di Alma Salabayeva e della piccola Alua, rispettivamente moglie e figlia dell’esule (e ricercato per un’accusa di truffa) Ablyamazov, è divenuto un “caso” poco più di una settimana fa quando il quotidiano della Fiat, La Stampa, vi ha dedicato ben due pagine.

Da allora è stato un crescendo certificato da una intera (durissima) pagina del Financial Times. In questi lunghi giorni, non solo è stato pesantemente attaccato il ministro dell’Interno in carica ma sono stati tirati in ballo i nostri servizi segreti (il direttore dell’Aisi) e uno dei principali gruppi industriali italiani (l’Eni), presente con rilevanti interessi in Kazakhstan.

In assenza di una precisa presa di posizione del Viminale o di Palazzo Chigi è stato possibile immaginare – magari neppure sbagliando troppo – una intricatissima spy story, nella quale non ci si è fatti mancare neppure il riferimento ad una non meglio precisata presenza israeliana. Persino all’interno del governo (dalla Bonino, per esempio) erano emerse valutazioni gravissime, non smentite.

Oggi pomeriggio è finalmente arrivato un comunicato ufficiale di Palazzo Chigi e Viminale, impeccabile nella forma ma un po’ beffardo nella sostanza. Da un lato si chiarisce che sul piano oggettivo del law enforcement l’azione della Polizia è stata corretta e dall’altro si ammette che c’è stato un difetto di intelligence, di circolarità delle informazioni.

Data questa premessa e acquisita la necessità di individuare i responsabili dell’omessa comunicazione ai vertici istituzionali, il governo replica in qualche modo, meno drammatico per fortuna, l’infelice modello dei Marò: indietro tutta.

Viene chiesto infatti al Kazakhstan di restituire i familiari del dissidente esiliato a Londra. Giusto e anche giuricamente opportuno. Resta però l’amarezza di uno Stato che fa, fa formalmente bene e poi fa (per ragioni anche sacrosante) marcia indietro.

Lasciando nel frattempo campo libero a chi, dall’estero – e sottolineamo dall’estero – gioca alle freccette con l’Italia.

Il campo dell’interesse nazionale va difeso sempre con la massima attenzione, soprattutto in momenti di particolare vulnerabilità dovuti alle difficoltà dell’economia e della politica. Il ritardo ed il tentennamento dimostrato in questa pur intricata vicenda non hanno fatto bene al Paese. La velocità di analisi e reazione alle situazioni di crisi è un fattore determinante nella loro soluzione. Il governo non può farsi distrarre troppo dalle beghe interne. Rischia di pagare immeritatamente un prezzo troppo alto. Tanto più che abbiamo partiti e fazioni che con la scusa di essere all’opposizione fanno sciaccallaggio ai danni dell’Italia, senza troppi complimenti..



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