Ad oggi un rassemblement di forze destrose potrebbe essere dato al 6%, ragiona Arnaldo Ferrari Nasi, sociologo e docente di Analisi della Pubblica Opinione presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Genova, e direttore dello studio sondaggistico Ferrari Nasi & Associati. Che in uno dei suoi ultimi report osserva come su alcune tematiche precise come immigrazione, sicurezza e ripresa, la maggioranza degli intervistati la pensino allo stesso modo.
Se è vero, come le sue analisi osservano, che esiste una precisa e diffusa trasversalità di temi (immigrazione, sicurezza, sviluppo industriale), che senso ha ancora parlare di destra e sinistra?
Bisogna distinguere: sulla sicurezza ho registrato la convergenza del 97% degli intervistati, praticamente tutti. Ma il nodo riguarda l’offerta politica. Alcuni partiti nel corso degli anni non hanno saputo organizzarsi e presentare un pacchetto di intenzioni attendibili. I cittadini vogliono risposte a quelle tematiche citate nella sua domanda. Poi è chiaro che alcuni italiani di sinistra se lo vogliono sentir dire in una certa maniera e altri di destra in modo differente. Questa scrematura esiste ancora.
Con quali sottosfumature?
Gli elettori di sinistra alla fine riescono a sentirselo dire con la terminologia che li aggrada di più. Oppure i loro dirigenti non glielo dicono ma, più o meno, lo mettono in pratica ugualmente. A destra ciò non accade. Comunque l’Italia è questa.
Quanto spazio politico esiste elettoralmente a destra?
Da un punto di vista sondaggistico i miei dati coincidono con quelli del prof. Piepoli: la destra è fondamentalmente maggioritaria in Italia. Possiamo definirlo in vari modi, penso al pentapartito, alla Casa delle Libertà, passando per le correnti Dc ma il risultato non muta: frutto dell’unione di una componente cattolica, una liberale e una nazionale che, ai massimi splendori, ha conquistato anche il 14%, non dimentichiamolo. Ma ai minimi il 4% e adesso è quello che è.
Significa che è la casa di un elettorato fluttuante o che, in quanto molto esigente, non si fa scrupoli a migrare altrove e punire chi lo delude?
È una questione tecnica, non sociale, come il fatto che tali pulsioni balcanizzate non si siano tradotte in un contenitore unitario. I vari leader, in questo frangente divisi, sono come degli imprenditori di una grande attività: sta a loro federarsi. Fino ad ora non hanno saputo confezionare un prodotto buono per essere esposto sui banconi destinati agli acquirenti.
E oggi come peserebbe questo rassemblement destroso?
Direi verosimilmente che in questa fase potrebbe essere dato al 6%.
Se vale il binomio che l’Italia raccoglie ciò che la politica ha seminato negli ultimi vent’anni, la mancata semina di oggi cosa porterà tra due decenni?
Lo definirei più un problema economico-sociale quello che il Paese si trova a gestire. Il nulla politico deriva anche dalla contingenza finanziaria. Si pensi che il debito pubblico italiano aumenta quotidianamente nell’indifferenza generalizzata della politica, che invece si preoccupa di creare una nuova authority come quella dei trasporti. Si comportano come se fossimo ancora nel 1998, per cui aumentano le spese senza alcuna riforma strutturale per la sopravvivenza del Paese: e nonostante il governo delle larghe intese sia adatto a questi tempi di emergenza. Non capisco come, proprio nel momento in cui le diverse forze politiche governano insieme, e quindi condividono i programmi, non si sforzino di riformare l’Italia. Per questo credo che rispetto a sei mesi fa non mi pare sia cambiato granché.
twitter@FDepalo