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Alfano, la tesi ufficiale e le contraddizioni nel caso Kazakhstan

La versione del caso Kazakhstan che il vicepremier e ministro dell’Interno Angelino Alfano ha dato ieri nella sua informativa al Senato e alla Camera non convince i principali giornali italiani, che sottolineano tutte le contraddizioni della sua difesa. La relazione di Alfano si è basata sulle 13 pagine (qui il testo integrale) in cui il capo della Polizia Alessandro Pansa ha riassunto la cronistoria dell’espulsione di Alma Shalabayeva – moglie del dissidente e ricercato internazionale per truffa Mukhtar Ablyazov – e della figlia Alua. Parole con le quali Alfano non riesce a scacciare del tutto la principale accusa che gli viene rivolta: poteva non sapere?

UN COMPORTAMENTO ANOMALO
Nel suo memorandum, Pansa pone l’accento sul punto nodale della vicenda: perché la inusuale solerzia dei diplomatici kazaki non ha mai destato sospetti o perplessità?
Il capo della Polizia definisce anomalo il loro comportamento, che “avrebbe dovuto rappresentare elemento di attenzione tale da far valutare l’opportunità di portare l’evento a conoscenza del ministro. Cosa che non è avvenuta, rileva il Corriere della Sera.
Secondo Pansa – si legge nell’articolo a firma di Giovanni Bianconi – il raggiro messo in piedi dai diplomatici del Kazakistan avrebbe avuto buon esito perché chi ha proceduto all’espulsione della moglie del dissidente non si è reso conto di quello che stava facendo. Preoccupandosi di informare i vertici del ministero dell’Interno “solo all’eventuale cattura del latitante, e non dell’insieme dell’operazione“. Una valutazione che non mette al riparo da ogni sospetto il ministro Alfano, soprattutto a fronte delle diverse versioni offerte dal suo ex capo di gabinetto Giuseppe Procaccini, che ha prima detto di essersi mosso in completa autonomia, per poi ritrattare sostenendo che Alfano sapeva dell’esito dell’incontro con i diplomatici kazaki.

IL RUOLO DI ALFANO
Anche per Il Fatto Quotidiano, “la relazione del capo della Polizia letta ieri da Alfano contiene numerose incongruenze. Nel tentativo di dimostrare che il Viminale agisce a insaputa del ministro, la relazione sottolinea più volte la “mancanza di comunicazione ascendente” da parte dei funzionari degli uffici coinvolti. Che “sono, come previsto – scrive Davide Vecchi – quelli che pagano per il rapimento di Stato“: il prefetto Giuseppe Procaccini e il capo della segreteria del dipartimento di pubblica sicurezza Alessandro Valeri.
Ma – sottolinea il quotidiano diretto da Antonio Padellaro – la relazione di Pansa recita che “nella serata del 28 il ministro dell’Interno, a seguito di ulteriori telefonate dell’ambasciatore, cui non ha risposto, fa incontrare lo stesso con il suo capo di Gabinetto” Procaccini. I due vengono raggiunti “dal capo della segreteria del dipartimento di Ps (Valeri, ndr)” nell’ufficio di Procaccini e l’ambasciatore “conferma quanto riferito alla Questura”. Quindi è Alfano che dirotta a Procaccini il contatto con l’ambasciatore.

RAPPORTI DI FORZA
Per Repubblica, le tredici cartelle di Pansa “ignorano una circostanza non esattamente neutra nel valutare chi sapeva cosa e quando. Il pomeriggio del 31 maggio – argomenta Carlo Bonini – all’aeroporto di Ciampino, l’imbarco sull’aereo per Astana della Shalabayeva e di sua figlia, ha momenti di tensione. Tra due diplomatici kazaki, il consigliere Nurlan Khassen e il console Yerzhan Yessirepov, nasce una discussione con i poliziotti presenti che scortano la donna e la bambina. E che i kazaki – come risulta dalle relazioni di servizio degli stessi poliziotti – provano a risolvere sventolando sotto il naso degli agenti il biglietto da visita di Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto di Alfano. Quindi, Khassen afferra il cellulare e, per cinque volte, compone il numero del prefetto (apparentemente senza riuscire a parlargli). Singolare. Che significato ha questo siparietto?” si chiede il giornale diretto da Ezio Mauro. È un altro gesto da capitan Fracassa della diplomazia kazaka, o, al contrario, l’ennesimo indizio della consapevolezza di essere “i padroni” al Viminale? Che il consigliere Khassen ritenesse di poter fare il bello e il cattivo tempo non è forse l’ennesima dimostrazione di quanto sia fragile, nella logica e nella concatenazione dei fatti, sostenere che, dalla mattina del 29, l’ufficio del Gabinetto del ministro e il Dipartimento si “disinteressarono” della questione Ablyazov. Anzi, ignorarono che esistesse un caso?

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