L’impronta più marcatamente liberale del programma di Matteo Renzi si trova nel capitolo sul Welfare. Se nel campo economico e fiscale la torsione labour della sua piattaforma originaria è ben visibile, è sul terreno del lavoro, della previdenza, degli ammortizzatori sociali che con più forza prende corpo la sfida del primo cittadino di Firenze ai paradigmi tradizionali e ai tabù consolidati della cultura politica e sindacale della sinistra.
La flexsecurity di Ichino e Boeri stella polare sul fronte lavoro
Come spiega nel suo “Oltre la rottamazione”, l’aspirante leader del Partito democratico ritiene “che per creare occupazione non basta perpetuare la concertazione, feticcio intangibile per i governi italiani di ogni colore e retaggio novecentesco che rappresenta ristrette minoranze”. Una sfida culturale anima il sindaco del capoluogo toscano, il quale prende spunto dal “fallimento della riforma Monti-Fornero che ha confezionato un garbuglio in cui non vi è traccia della libertà di assumere e della semplificazione dei rapporti tra aziende e dipendenti. Perpetuando un’immorale discriminazione per cui la politica tassa 3-4 volte in più l’artigiano o l’imprenditore che crea valore e dà lavoro rispetto alle rendite finanziarie”. Renzi propone un radicale alleggerimento del prelievo fiscale sulle attività dei giovani e la creazione di un codice del lavoro moderno che riunisca in 60-70 articoli chiari e univoci le oltre duemila norme oggi esistenti. Tema cardine di iniziative promosse dal giuslavorista Pietro Ichino e degli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi. Matteo guarda con interesse al contratto unico a tempo indeterminato privo della copertura dell’articolo 18 e con tutele crescenti nel tempo concepito dal parlamentare di Scelta civica sul modello della flexsecurity danese, e al contratto unico di ingresso che dopo tre anni si trasforma in rapporto senza limiti temporali, garanzie dell’articolo 18 comprese. Proposte che nell’ipotesi di un licenziamento del lavoratore nei primi 36 mesi prevedono un indennizzo economico cospicuo anziché il diritto al reintegro. Per le persone in stato di disoccupazione le due proposte disegnano una rete di percorsi di formazione e aggiornamento mirati al reinserimento occupazionale in tempi brevi, finanziata in pari misura dallo Stato e dalle aziende. Un progetto rispetto al quale la polemica sulla conservazione dell’articolo 18 dello Statuto del 1970 appare a Renzi “un gigantesco specchietto per le allodole attorno a un totem ideologico, una coperta di Linus sotto cui tutti nascondono le loro insicurezze a partire da una destra che la rivoluzione liberale non sa neanche da dove inizi. Gli imprenditori stranieri non scappano perché c’è l’articolo 18. Scappano per la burocrazia, le tasse, la giustizia, il peso economico intollerabile sul lavoro, cresciuto di oltre 30 punti dal 1999 al 2011 con salari rimasti invariati. Per cui in Italia un operaio specializzato costa 3mila euro e ne prende 1,4 e in Germania ne costa 4,5 e ne prende 3”.
L’inversione di rotta sul pubblico impiego
Rivelando un’affinità con il centro-destra legato a Forza Italia, il primo cittadino di Firenze ha sovente denunciato la scarsa operosità e il numero abnorme, 3 milioni, dei dipendenti pubblici. Ma la valutazione impietosa ha conosciuto un’inversione di rotta, visto che nel suo ultimo libro Renzi vuole “sfatare la leggenda” per cui i dipendenti pubblici sono troppi rispetto alla media europea: “Il vero problema non è licenziarli ma renderli produttivi, come gli insegnanti di scuola, che devono essere valorizzati sul piano professionale sociale ed economico, messi in condizioni di lavorare al meglio e di misurarsi con il merito”. Una metamorfosi finalizzata a costruire un canale di intesa con la base sociale del Pd?
Le lacune storiche della politica industriale italiana
Clamoroso è il suo cambiamento di valutazione sull’operato dell’amministratore delegato di Fiat. Ricordando che se fosse stato un operaio della fabbrica di Pomigliano d’Arco avrebbe votato “senza se e senza ma” a favore del referendum proposto da Sergio Marchionne, Renzi ha manifestato profonda delusione per il mancato investimento di 20 miliardi promesso nel Progetto Italia. Riflesso, osserva recuperando le polemiche di Ernesto Rossi e della sinistra liberale contro il capitalismo assistito, di una mentalità diffusa nell’azienda di Torino: “La quale con il ricatto occupazionale ha pubblicizzato i debiti beneficiando della cassa integrazione quando le cose non andavano, e privatizzato gli utili quando la congiuntura era positiva”. Fenomeno analogo alla crisi degli stabilimenti Alcoa e del Sulcis, “simbolo di una politica industriale capace di elargire dal 1996 a oggi 2 miliardi di sussidi pubblici – 70mila euro per ognuno dei mille minatori – ai gruppi che si sono succeduti nella proprietà”. La strada da intraprendere è “chiedere alla multinazionale di restituire gli aiuti di Stato, fornire ai lavoratori le garanzie del Welfare, valutare se le miniere di carbone e alluminio hanno una prospettiva e cambiare se necessario la destinazione degli impianti”.
“Nessuno tocchi l’innalzamento dell’età pensionistica”
Altro terreno di conflitto con il gruppo dirigente del Nazareno è la rivendicazione da parte di Renzi del valore e merito della riforma Fornero sull’età minima per andare in pensione. “A pagare per l’introduzione di un’ampia flessibilità in uscita prevista dalle proposte convergenti di Cesare Damiano e Renata Polverini sarebbero le generazioni future, per le quali il sistema prevede da tempo trattamenti peggiori”. Se lo scontro con l’apparato del Pd rischia di toccare l’intensità delle polemiche sull’abrogazione dello Scalone Maroni – “provvedimento con cui abbiamo perso 9 miliardi di euro che potevano andare al sociale” – piena consonanza si registra attorno al problema esodati: “È sconvolgente che chi ha sbagliato a calcolare il loro numero non venga punito”. Spiccatamente orientata a sinistra è la proposta lanciata dal cervello economico della sua campagna, Yoram Gutgeld. Si tratta del dimezzamento o azzeramento dell’adeguamento all’inflazione per le pensioni che superano dalle tre alle sette volte quella minima. Una patrimoniale sugli assegni medio-alti che produrrebbe un risparmio annuo fra i 3 e i 4 miliardi.
Un Welfare equo e capillare
Per Renzi è possibile infine aumentare la produttività della pubblica amministrazione creando gli stessi beni e servizi con costi più bassi, e destinando i 4-6 miliardi che verrebbero risparmiati alla costruzione di una rete di asili nido del 40 per cento come in Francia, alla valorizzazione del privato sociale impegnato nella cura alla persona, agli incentivi fiscali per le aziende della grande distribuzione che donano ai Banchi alimentari il cibo sprecato, al ripristino dei 2,5 miliardi del Fondo per la non auto-sufficienza affidato ai comuni e tagliato dallo Stato.