L’economia italiana arranca e il debito pubblico lega le mani dello Stato, ma a ben vedere c’è un tesoro da 4 miliardi nascosto nella Banca d’Italia che potrebbe dare respiro alle casse dello Stato e pure all’economia. Lo sostiene Renato Brunetta in un “dossier” pubblicato oggi sul Giornale.
La proposta di Brunetta
Le banche azioniste dell’Istituto centrale possiedono delle partecipazioni della Banca d’Italia valutate troppo poco rispetto a l loro effettivo valore, sostiene l’ex ministro. Questo blocca la loro capacità di credito che, tradotto, significa meno disponibilità a fare prestiti ai clienti. Rivalutare il valore facciale delle quote (della Banca d’Italia) possedute dalle banche azioniste tenendo conto del valore effettivo delle riserve, consentendo agli stockholder di apportare le opportune variazioni di bilancio, sarebbe la soluzione, nelle parole del responsabile economia del Pdl, che porterebbe a “un rafforzamento patrimoniale e quindi un beneficio indiretto alle imprese sotto forma di maggiore disponibilità all’erogazione del credito”. Inoltre le plusvalenze realizzate dalle singole banche verrebbero tassate realizzando così delle nuove entrate per l’Erario. Una soluzione che, seppur provvisoria, aiuterebbe l’economia italiana in un momento di evidente difficoltà.
La Banca d’Italia
L’assetto della Banca d’Italia è stato regolato nel 2005 dalla Legge 262 “Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari”, ricorda Brunetta. La legge stabiliva non solo che la Banca è un istituto di diritto pubblico – e quindi non può avere altri proprietari se non lo Stato – ma anche che l’assetto proprietario, fino a quel momento di natura “anomala” composto da enti in maggioranza appartenenti al settore bancario, doveva essere ridefinito entro 3 anni dall’approvazione della legge, attuando il trasferimento delle quote di partecipazione in possesso dei soggetti diversi dallo Stato. Questa disposizione è stata disattesa, chiosa l’ex ministro sul Giornale: la Banca ha ancora lo stesso capitale del 1933, anno della sua nascita, ha ancora gli stessi azionisti e un attivo patrimoniale di un terzo del Pil italiano, ma un controllo frammentato tra azionisti senza potere.
La soluzione
La legge stabilirebbe quindi che lo Stato compensasse i vecchi azionisti delle quote in loro possesso, ma sarebbe un’operazione impensabile nel momento di crisi che l’Italia sta attraversando. È qui che nasce la soluzione momentanea proposta da Renato Brunetta e rivolta al ministro dell’Economia e delle Finanze Fabrizio Saccomanni, già direttore generale della Banca d’Italia: rivalutare il capitale della Banca d’Italia creando benefici per tutti, per le banche, per lo Stato, per le imprese e per le famiglie.