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Marchionne ha molte ragioni e pochi torti. Parla Magno

“Bisogna mettersi in testa che ormai la Fiat è un’azienda americana con delle propaggini produttive in Italia, e noi dobbiamo ragionare in questa prospettiva”, ammonisce Michele Magno, già dirigente sindacale e politico di spicco nella Cgil e nel Pci, ora editorialista e saggista, secondo cui il futuro degli stabilimenti Fiat nel Paese è abbastanza nero.

Come mai il liberale e liberista Marchionne di fatto invoca l’intervento dello Stato per sanare gli accordi aziendali dopo la sentenza della Corte?
Onestamente non mi sembra un controsenso. La sentenza della Corte Costituzionale a mio giudizio pone l’esigenza di una legge sulla rappresentanza sindacale che dia certezza alle relazioni industriali, non solo nelle fabbriche Fiat ma in tutto il mondo economico italiano. Probabilmente è stata punita una certa arroganza di Marchionne, quando, sfruttando un comma dell’articolo 19 dello Statuto che era stato imposto da un referendum della Fiom, aveva impedito al sindacato non firmatario del contratto ad avere una rappresentanza in fabbrica.

Un errore strategico in quella partita?
Creo che se la Fiat allora avesse scelto di dare una voce alla rappresentanza di fabbrica, tutto ciò non sarebbe accaduto. Per cui non parlerei di Marchionne liberista, ma di un manager assolutamente preoccupato dello stato di salute delle relazioni industriali nella sua fabbrica. E anche di un Marchionne che cerca di esercitare pressioni sul movimento sindacale e soprattutto sul governo italiano perché, accanto ad una legge sulla rappresentanza che dia certezze ai rapporti industriali in fabbrica, predisponga degli strumenti di politica industriale – non posso pensare alla vecchia rottamazione – che agevolino la sopravvivenza delle fabbriche Fiat nel Paese. Ma il nodo è un altro.

Ovvero?
Bisogna mettersi in testa che ormai la Fiat è un’azienda americana con delle propaggini produttive in Italia, e noi dobbiamo ragionare in questa prospettiva. Devo dire che il futuro degli stabilimenti Fiat nel Paese lo vedo abbastanza nero.

Ma le parole di Marchionne sull’Alfa (“può essere prodotta ovunque”) non danno l’impressione di voler svilire il made in Italy?
Probabilmente lui ha un’idea del made in Italy come polo del lusso automobilistico, che potrebbe avere la sua sede in Italia: intendo Ferrari, Maserati e qualche linea dell’Alfa Romeo. Credo che la Fiat stia pensando a un ridimensionamento della sua presenza in Italia e a una riorganizzazione in quest’ottica. Cioè concentrare in Italia le produzioni non di più alta gamma, ma di altissima fascia.

Quali conseguenze avrebbe questo passo?
Non è ancora chiaro cosa potrebbe accadere in termini di riconversione, ovvero di ridimensionamento di Mirafiori, e soprattutto di riorganizzazione dell’apparato industriale in Italia. La mia impressione è che il gruppo ci stia pensando ma non abbia ancora maturato delle scelte o degli orientamenti precisi. Sta un po’ a guardare e dipenderà anche da come andrà l’acquisizione completa di Chrysler negli Stati Uniti.

L’ex top manager del gruppo Fiat, Riccardo Ruggeri, ha notato su Twitter che si sta esaurendo la cassa integrazione e anche per questo Marchionne sarebbe pronto a lasciare l’Italia…
Bisogna avere il coraggio di dire la verità: lo scenario che dipinge Ruggeri è nell’ordine delle possibilità, forse prima di compiere un passo del genere la proprietà della Fiat ci penserà diecimila volte, per ragioni intuibili di natura politico-sociale. Anche per questo Marchionne sta facendo un affondo sul governo, ma credo che proverà a farlo anche con la Fiom di Landini per ottenere un chiarimento fuori dai denti.

twitter@FDepalo



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