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Caro Monti, la linea del partito è giusta ma il correntismo è insostenibile

I fatti
Alle 22,50 del 29 luglio con lettera del presidente Mario Monti viene diramata una convocazione d’urgenza (e riservata) della Assemblea nazionale per le ore 21 del 31 luglio. Basta leggere il punto 3 dell’odg (Elezione del Presidente e/o del Coordinatore politico…) per rendersi conto della delicatezza della iniziativa, soprattutto tenendo conto dei toni emersi in una precedente riunione del 24 luglio, con riferimento ad una manifestazione convocata per il 26 luglio e della presa di posizione relativa da parte di Scelta civica. Del resto, i giornali che hanno riferito della situazione non hanno dovuto compiere un grande sforzo per evidenziare che l’Assemblea era chiamata a scegliere tra Monti ed Olivero. Si arriva quindi alla notte fatidica. Si inizia con un’ora di ritardo. Si capisce che è intervenuto un accordo. Monti lo illustra più o meno nei termini seguenti. Chi ha partecipato al Convegno del 26 ha sbagliato (Andrea Olivero in primis), ma essendovi l’esigenza di fortificare le basi culturali del movimento, Olivero deve essere sollevato dall’incarico di coordinatore unico per vedersi affidare la direzione di un gruppo di parlamentari di sua scelta (rappresentativi di tutte le escludendo però Pietro Ichino che era stato il “motore” dell’agenda Monti) con il compito di redigere il profilo ideale e culturale di Sc e il documento preparatorio del Congresso. Poi interviene Andrea Olivero che, in sostanza, afferma di accettare l’intesa ma che i problemi sono altri, se non si risolvono i quali il movimento non ha prospettive (la sua è una specie di quadratura del cerchio: superare la logica delle appartenenze, ma senza rinunciarvi). Non ci sarà più fino al Congresso un coordinatore politico, ma queste funzioni saranno assunte collegialmente dall’Ufficio di Presidenza, incluso Olivero.

Prima considerazione
Tutti capiscono che ci si è messa una pezza, all’insegna del promoveatur ut amoveatur, anche in molti si sforzano di riconoscere che ad Olivero è stato dato un compito ancor più importante. Operazioni siffatte avvengono da sempre (non è un caso che siano descritte in latino), se si devono evitare guai più grossi. Viene però da chiedersi se non sarebbe stato più opportuno che a questa soluzione ci fosse arrivato, sua sponte, l’Ufficio di Presidenza da solo (dandone successiva comunicazione alle strutture) senza dover convocare una riunione, che ha riproposto pari pari, nel dibattito, la spaccatura che si voleva evitare con la mediazione. Così, si è avuta contemporaneamente una soluzione diplomatica da vecchia politica e ribadito con ancor più chiarezza le divisioni che esistono all’interno del movimento. Per altro, a maggiore preoccupazione, si è aggiunto – ne hanno parlato i media – il colpo di coda finale e “ufficioso” della minaccia di dimissioni poi rientrata del presidente Monti. A prova, evidentemente, che la discussione aveva messo in evidenza dei problemi, senza superarli – come si dice – attraverso il confronto franco e appassionato.

Seconda considerazione
Chi scrive, durante una vita ormai lunga trascorsa all’interno di organizzazioni complesse, non può certo scandalizzarsi per l’esistenza di componenti rappresentative di esperienze culturali e politiche differenti. Ma in Scelta civica questa tendenza è esasperata al punto di rendere difficile la stessa convivenza e di costringere lo stesso Mario Monti (senza il quale Sc per l’Italia potrebbe chiudere bottega e portare i libri in tribunale) a gestire il movimento appoggiandosi ora ad una, ora all’altra delle due maggiori componenti. Per gli studiosi di storia politica Scelta civica, in piccolo, ricorda il Partito d’azione che non riuscì a sopravvivere nel dopoguerra perché una parte guardava a sinistra, l’altra a destra. E’ chiaro che in Scelta civica è l’esistenza di differenti linee circa le prospettive che crea i maggiori problemi. E purtroppo non ce ne sono solo due. Non si confrontano soltanto una componente liberale ed una cattolica, con opinioni diverse per quanto riguarda l’adesione alle formazioni europee (l’Alde o il Ppe ?) e le conseguenze che ne derivano sul piano nazionale. E’ tutto da dimostrare che i promotori dell’iniziativa del 26 luglio ispirata al popolarismo europeo – e quindi ricondotti, con semplicismo, alla componente dei cattolici per di più filo Udc – siano propensi, nel loro insieme in Italia, ad una prospettiva moderata che guardi ad un nuovo centro destra senza Silvio Berlusconi. Molte personalità di quella componente hanno chiaramente la testa girata verso un’alleanza con il Pd; magari ipotizzano una sorta di ricomposizione della Margherita (uno di loro ne è stato l’inventore) aperta anche a settori cattolici del Partito democratico. Anche nella compagine di Italia futura, non tutti sono in attesa di legare il proprio destino politico a quello di un Pd guidato da Matteo Renzi o comunque alla sua discesa in campo in qualunque modo. Nelle ultime dichiarazioni il padre fondatore dell’associazione, Luca Cordero di Montezemolo, si è lasciato andare a considerazioni sulla prospettiva politica dei moderati in Italia, dopo la condanna del Cavaliere, che spiazzano molti militanti orientati a sinistra. In sostanza, non sono in campo soltanto due opzioni politiche con obiettivi ben chiari, ma è il caso di affermare “Quot capita, tot sententiae”, dunque. Fare sintesi è difficile, non solo sul piano della oggettiva complessità di un quadro politico divenuto instabile ed in evoluzione, ma prima ancora per la qualità soggettiva del movimento fondato da Monti. E’ insopportabile, infatti, il livello di correntismo esistente, che è emerso anche nella riunione del 31 luglio e che cova sempre sotto la cenere, determinando una lottizzazione di tutte le cariche in una logica di moltiplicazione delle stesse e di proiezione nel territorio. Sembra di essere in Belgio dove per accontentare sia i valloni che i fiamminghi si assiste ad un raddoppio delle cariche. Ciò, proprio quando in tanti storcono la bocca non solo nei confronti della vecchia politica, ma della politica tout court, in nome di una superiorità etica, professionale e quant’altro della società civile. Ne nascono, spesso, atteggiamenti élitari incomprensibili ed insostenibili nei confronti di quanto è indispensabile in politica: le alleanze e la presenza nelle istituzioni. Scelta civica somiglia all’esercito dei ragazzi della via Pal, dove erano tutti ufficiali, mentre uno solo era soldato semplice (insieme al cane della segheria). Poi, in tanti saranno anche i migliori della società civile, l’eccellenza fatta uomo o donna, il sale della terra incarnato in esseri umani: ma perché lo devono ricordare ad ogni piè sospinto?

Conclusioni
Se Atene piange, Sparta non ride. Per come sono messi gli altri partiti, i maggiori danni sono quelli che i militanti di SC possono farsi da soli. Per nascere come partito, essi dovrebbero fare propria la filosofia del cavallo Gondrano, personaggio chiave de “La fattoria degli animali”. Quando vedeva qualcosa di strano nell’organizzazione del potere della fattoria liberata dall’uomo, ripeteva a se stesso: “Lavorerò sempre più”. Sperando, ovviamente, di non finire come lui al macello e alla fabbrica della colla. In fondo, allo stato degli atti è giusto (come ha sostenuto Mario Monti) che Scelta civica non cambi linea e difenda fino a quando sarà possibile il governo Letta, per la novità rappresentata dalle larghe intese che lo sostengono. Poi la sorte del movimento si giocherà insieme a quella di tutti gli altri partiti, anche alla luce della legge elettorale con cui si andrà a votare. Sperando che la partita non sia la solita di sempre: Berlusconi contro tutti; tutti contro Berlusconi.



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