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Ecco tutte le giravolte di Berlusconi sulla legge elettorale

“La vita pubblica italiana dovrebbe vedere protagonisti due grandi partiti come negli Stati Uniti o in Gran Bretagna. E non una pletora di formazioni costrette ad allearsi in fragili esecutivi destinati a entrare in crisi”. È l’auspicio a cui più volte Silvio Berlusconi ha fatto ricorso per spiegare l’impotenza politica dei suoi governi. Ma l’invocazione di un modello di democrazia maggioritaria e bipartitica mai si è tradotta nella scelta di meccanismi elettorali coerenti. Perché la parabola del Cavaliere è stata punteggiata da continue e clamorose metamorfosi nell’opzione per i sistemi di voto. Mutamenti funzionali alle convenienze temporanee, frutto di attitudine camaleontica e della mancanza di un progetto di respiro realmente vincente.

L’impostazione maggioritaria della prima Forza Italia
Concepita come rottura e alternativa rispetto all’universo partitico della prima Repubblica, proporzionale e consociativo, Forza Italia porta avanti una visione agonistica della vita istituzionale e delle elezioni. Il suo programma della primavera 1994 propone su indicazione dello scienziato politico Giuliano Urbani l’adozione del collegio uninominale a due turni. Grazie alla flessibilità del meccanismo francese, che permette l’accesso al turno decisivo dei candidati in grado di raggiungere il 12,5 per cento degli aventi diritto al voto, la creatura del Cavaliere può rappresentare il fulcro attorno a cui gravitano Lega Nord, Alleanza Nazionale, Cristiano Democratici. È uno schema bipolare, che convoglia in una coalizione le identità plurali del centro-destra ma rivela l’estrema difficoltà nel mantenere compatta l’eterogenea compagine di governo. Per superare lo stallo Berlusconi compie un salto di qualità. Il 10 aprile 1994, in una Convenzione nazionale dei Club Pannella, rende pubblica la propria “conversione” all’uninominale secco di stampo britannico. L’obiettivo, tradotto in un Manifesto comune basato sul trinomio maggioritario-presidenzialismo-federalismo, è archiviare la frammentazione che sta logorando la sua prima esperienza a Palazzo Chigi ostacolando l’attuazione delle riforme liberali-liberiste, e puntare su uno sbocco bipartitico fondato su progetti di governo omogenei e alternativi.

La conversione al proporzionale
Fallito il suo esecutivo e intrapresa la “lunga traversata nel deserto”, il Cavaliere matura una metamorfosi che culmina nel 1999 con un clamoroso rovesciamento verso il modello proporzionale e con l’adesione alla proposta di legge Tremonti-Urbani a favore del meccanismo tedesco. Contraddicendo le parole pronunciate 6 anni prima, Berlusconi gioca un ruolo cruciale nell’incoraggiare l’astensione e provocare l’annullamento dei referendum promossi dai Radicali nel maggio 2000. Consultazione che accanto ai quesiti sulla “giustizia giusta” e per l’apertura al mercato dell’economia e del lavoro puntava all’eliminazione della quota proporzionale nel Mattarellum. Memorabile la sua partecipazione alla conferenza stampa delle forze ostili al referendum in nome della conservazione della specifica identità di ogni partito: CCD-CDU, UDEUR, Popolari, Socialisti, Carroccio, Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, Fiamma Tricolore, e appunto Forza Italia. Ergendosi alla guida del fronte per il proporzionale l’ex premier promette: “Le riforme contenute nei quesiti le faremo noi quando saremo a Palazzo Chigi”.

Mutamenti repentini e imprevedibili nel terzo millennio 
All’indomani del fallimento del referendum il Cavaliere propone però una versione di Mattarellum più maggioritaria con l’abrogazione dello scorporo, che sottrae ai voti dei partiti presenti nel proporzionale i suffragi necessari per far vincere il loro candidato nell’uninominale. Nel maggio 2012 sembra confermare l’antica vocazione quando in una conferenza stampa per il rilancio del centro-destra propone l’adozione del modello francese: investitura popolare del Capo dello Stato con responsabilità di governo e voto uninominale a doppio turno. Tuttavia già nel novembre 2007 e poi nell’autunno 2012 il Cavaliere manifesta la sua predilezione per il sistema spagnolo, un proporzionale basato su liste bloccate corte in piccoli distretti senza recupero dei resti. Regole che prevedono un’alta soglia di sbarramento implicita, esaltano le due formazioni più votate, premiano gli autonomisti con forte radicamento territoriale.

Ma l’infatuazione per il modello iberico appare tramontata. Oggi il fondatore di Forza Italia è attestato sulla trincea della conservazione della legge Calderoli. Tutt’al più ammette ritocchi ai punti che rischiano la bocciatura della Corte Costituzionale e sembra favorevole a fissare un livello minimo di consensi per accedere al bonus di governabilità oltre che a un premio di maggioranza nazionale per il Senato. Lo scopo è rendere più proporzionale possibile il Porcellum e perpetuare lo scenario delle larghe intese.



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