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Il confine tra libertà e sicurezza interroga Usa e Regno Unito

In politica la forma è anche, forse innanzitutto, sostanza. Ecco perché la Casa Bianca, pur condividendone il fine, ha immediatamente preso le distanze dalla mossa con cui agenti inglesi hanno premuto perché il 20 luglio venisse distrutto un numero non specificato di dischi rigidi del giornale britannico The Guardian, nel tentativo ipotetico di impedire che materiali frutto delle rivelazioni al quotidiano di Edward Snowden sullo spionaggio informatico della Nsa americana e di altri servizi segreti possano cadere nelle mani di spie nemiche.

L’INGERENZA DEL GCHQ
Secondo indiscrezioni confermate alla Bbc dallo stesso direttore del Guardian, Alan Rusbridger, alti funzionari di Whitehall, il quartiere londinese dei ministeri, non si sarebbero limitati a chiedere insistentemente la restituzione o la demolizione degli hard disk, ma avrebbero preteso la presenza di due esperti del Quartier generale governativo per le Comunicazioni, l’agenzia che si occupa di sicurezza e spionaggio, di sorvegliare il procedimento all’interno della redazione del giornale.

LA CONDANNA AMERICANA
Un modo di agire che la Casa Bianca, tramite il suo portavoce Josh Earnest ha definito “inopportuno” per le autorità degli Stati Uniti, anche se utile per questioni di sicurezza nazionale.

È il secondo intervento di condanna degli Usa in pochi giorni, dopo che lunedì scorso Washington aveva preso le distanze dall’operazione con cui la polizia metropolitana di Londra al fine di trovare nuovi documenti aveva trattenuto nell’aeroporto di Heathrow David Miranda (a destra nella foto), compagno brasiliano di Glenn Greenwald (a sinistra nella foto), il giornalista del Guardian che per primo ha portato alla luce il caso Datagate.

ATTACCO AI MEDIA
In realtà la reprimenda degli Stati Uniti è dettata anche dall’esistenza di un profondo dibattito interno al Paese. Oltreoceano tengono banco soprattutto le storie di diversi giornalisti dell’agenzia Associated Press, le cui conversazioni sono state intercettate dal Dipartimento di sicurezza americano, le intimidazioni fatte recentemente a un giornalista del New York Times affinché riveli la fonte di un’altra fuga di notizie e i ripetuti arresti, oltre quaranta, ai danni della documentarista Laura Potrais, una delle figure chiave del Datagate, di grande supporto a Snowden ma poco nota al grande pubblico.

E dopo questi attacchi al mondo dell’informazione è la stessa stampa a fare quadrato per difendere il lavoro dei cronisti e il diritto dei cittadini ad essere informati. Un articolo del movimento Freepress invita tutti a firmare una petizione affinché “i governi mettano fine alle intimidazioni verso la stampa e le loro famiglie“.

I DOCUMENTI LIBERI
Anche per il direttore del Guardian la forzatura alla distruzione dei documenti avrebbe un valore puramente simbolico e intimidatorio, poiché lo stesso Rusbridger ha spiegato alle autorità che l’azione non potrà impedire altri articoli del giornale, perché Greenwald possiede altre due copie dei file, una in Brasile e un’altra negli Usa.

Per un altro quotidiano britannico, il Daily Mail, Miranda aveva invece con se altri documenti segreti forniti da Snowden. I documenti, sostiene il tabloid, erano celati in file criptati nelle chiavette di memoria usb confiscate all’uomo.

CAMERON SOTTO ACCUSA
Il caso del fermo di Miranda non provoca però solo tensioni con gli Usa. Il premier britannico David Cameron deve ora fronteggiare sul fronte interno i violenti attacchi dell’opposizione laburista, che chiede chiarimenti.

Theresa May, il ministro dell’Interno, ha confermato che fu messa al corrente della detenzione dell’uomo e che la considerò utile, perché egli poteva essere in possesso di documenti sensibili che potrebbero aiutare i terroristi e “portare a una perdita di vite umane”.

SICUREZZA VS LIBERTÀ
Ma l’analisi di May è stata criticata da Lord Falconer of Thoroton, l’ex Lord Cancelliere laburista che collaborò all’introduzione della legislazione antiterrorismo alla quale si è appellata il ministro dell’Interno. Secondo Thoroton, anche in base al Terrorism Act 2000, le forze dell’ordine non avevano nessun diritto di trattenere per 9 ore il compagno di Greenwald e di sottrargli degli effetti personali (alcuni apparecchi elettronici, fra cui il cellulare, il tablet ed alcune chiavi usb), dal momento che tali misure possono essere adottate solo se i cittadini in questione agiscono in modo sospetto.

All’uomo invece non è stato consentito, come prevede la legge, parlare con gli avvocati inviati dal Guardian né con i diplomatici brasiliani recatisi allo scalo.

A rincarare la dose è l’ex ministro ombra dell’Interno David Davis, che ha sottolineato che se Downing Street era a conoscenza della detenzione di Miranda, così come ha confermato il ministro May, non poteva non essere consapevole anche delle violazioni che venivano perpetrate ai suoi danni.

Violazioni che mettono spalle al muro Cameron e le democrazie anglosassoni – spesso prese come punto di riferimento o elevatesi a modello – e interrogano l’opinione pubblica britannica, e non solo, sulla sottile linea che separa sicurezza e libertà nella nuova stagione di contrasto al terrorismo.

Il direttore Alan Rusbridger spiega perché ha distrutto i documenti del Datagate (fonte video: The Guardian)





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