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Berlusconi, il Cuba libre e il bluff

Berlusconi statista è come il Cuba libre: una contraddizione in termini. Non lo è, non lo è mai stato, non può esserlo, non lo sarà mai. Aggiungo, non lo sarebbe neppure se, con quello che Di Pietro definirebbe un atto di resipiscenza operosa, si dimettesse da senatore, garantendo la sopravvivenza del governo Letta, sollevando il Pd dall’angosciante dilemma del prigioniero di cui è preda e liberando il centrodestra italiano verso una dimensione non padronale e compiutamente europea.

Per Berlusconi parlano la sua storia e il suo DNA. È un capitano d’industria, un uomo solo al comando, un paròn, uno che aspira all’adorazione molto più che al rispetto, il teorico massimo dell’o con me o contro di me, colui che ha introdotto in politica le categorie dell’amore e dell’odio, quello delle corna e dei cucù. Uno così, per queste e per altre mille ragioni, non può diventare uno statista, neanche per un attimo, neanche nel più alto momento del bisogno.

Facile, si potrebbe dire, parlare così dopo le più recenti dichiarazioni dell’ex premier e di Alfano, che in sostanza dicono al Pd “o salvate Berlusconi o cade il governo”. Ma francamente è davvero difficile ipotizzare che da quelle dichiarazioni qualcuno possa essere rimasto sorpreso, si pongono anzi in totale continuità con la truffaldina mistica della pacificazione – condita dal più recente mantra dell’agibilità politica – sotto la quale è nato il governo.

In che direzione andiamo? Probabilmente verso il baratro. È evidente che il Pd non possa votare in commissione contro legge (una legge peraltro approvata pochi mesi fa dallo stesso Pdl, giusto per ricordarlo alle tante Gelmini che oggi chiedono un approfondimento), pena la perdita del suo intero elettorato.

E non si può star dietro alle iperboli sfida-logica di un Alfano (come si fa a non dare un voto contro personam in un giudizio su una persona?) o ai paragoni improponibili di un Mauro (l’amnistia di Togliatti avveniva in un contesto storico giusto un filino diverso, signor Ministro). Resta dunque l’opzione crisi di governo. A meno che Berlusconi trovi comunque nel mantenimento dello status quo una qualche convenienza e le minacce odierne si rivelino un bluff. Che poi, visti i precedenti, neanche sarebbe poi questa grande sorpresa.



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