C’è ben poco della diplomazia e prudenza che in questi mesi contraddistingue le cancellerie occidentali riguardo la crisi siriana, nelle parole del nunzio a Damasco, mons. Mario Zenari. Le immagini dei cadaveri allineati nelle palestre e nei corridoi delle case dopo l’attacco con il gas nervino che sarebbe stato condotto dal governo di Basar el Assad a Guta “hanno colpito tutti”, dice il presule. “E’ veramente uno shock per la comunità internazionale. Qui la gente ormai è stufa e credo che veramente stia lanciando un grido di allarme alla comunità internazionale per dire ‘Aiutateci affinché questa guerra termini immediatamente!”.
E ancora, prosegue mons. Zenari, “Siamo stufi di questa guerra, non ne possiamo più! Non si può andare avanti in questa maniera. Credo che questo grido salga dai siriani che invocano uno sforzo maggiore della comunità internazionale per trovare subito una soluzione politica questa grave crisi”. Parla di soluzione politica, il nunzio apostolico, eppure i toni sembrano andare in tutt’altra direzione. Se non proprio l’auspicio di un intervento militare internazionale, quella espressa nel colloquio con Radio Vaticana è la richiesta di un chiaro cambiamento di passo.
Parole che stridono con il silenzio di Roma. Certo, il Papa più volte ha parlato di Siria in occasione degli incontri pubblici e degli Angelus – “sempre viva e sofferta è la mia preoccupazione per il persistere del conflitto che ormai da più di due anni infiamma la Siria e colpisce specialmente la popolazione inerme, che aspira ad una pace nella giustizia e nella comprensione. Questa tormentata situazione di guerra porta con sé tragiche conseguenze: morte, distruzione, ingenti danni economici e ambientali, come anche la piaga dei sequestri di persona”, diceva il 2 giugno scorso – ma dai vertici della diplomazia non è stata data una linea chiara su come rapportarsi al conflitto tra lealisti e ribelli.
L’estrema cautela dell’osservatore dell Santa Sede all’Onu
Ne è prova che mentre il nunzio tuonava contro il torpore della comunità internazionale, l’osservatore permanente della Santa Sede all’Onu, mons. Silvano Maria Tomasi, si muoveva con estrema cautela: “La comunità internazionale, attraverso gli osservatori delle Nazioni Unite che sono già presenti in Siria, potrebbe far luce su questa nuova tragedia, diceva a Radio Vaticana”. E ancora (ed è il punto fondamentale), “non si può partire già con un pregiudizio, dicendo che questo o quello sono responsabili”. Ma Tomasi dice di più riguardo l’attacco con il gas nervino: “Dobbiamo chiarire il fatto, anche perché da un punto di vista d’interessi immediati, al governo di Damasco non serve questo tipo di tragedia, sapendo che ne é comunque incolpato direttamente. Come nel caso delle investigazioni di un omicidio, bisogna farsi la domanda: a chi veramente interessa questo tipo di crimine disumano?”. Pietra tombale, poi, sull’ipotesi di intervento armato: “L’esperienza di simili interventi in Medio oriente, in Iraq, in Afghanistan mostrano che la strada dell’intervento armato non ha portato nessun risultato costruttivo”.
Qual è la linea della Segreteria di stato?
C’è da chiedersi, a questo punto, quale sia la linea della Santa Sede: quella molto prudente dell’osservatore all’Onu o quella che chiede di rompere gli indugi fatta propria dal nunzio a Damasco? La Segreteria di stato, organismo che potrebbe sciogliere il dubbio che sa tanto di arcano, tace. Sono tempi di transizione, Tarcisio Bertone è dato in uscita e non si sa ancora se (come appare comunque probabile) sarà un diplomatico a prenderne l’eredità. Il fatto è che i passi felpati sono anche dettati dalla delicata situazione della minoranza cristiana presente nel Paese. L’esempio egiziano, con le chiese copte date alle fiamme, parla chiaro. Da un lato c’è l’orrore per gli attacchi governativi, dall’altro la considerazione intrisa di realismo politico che Assad comunque tutela i cristiani.
Il dramma dei cristiani
Sono loro, in ogni caso, “a pagare il prezzo più alto”, dice il patriarca di Antiochia dei Maroniti, il cardinale Béchara Boutros Rai: “Oggi assistiamo alla distruzione totale di tutto quello che i cristiani hanno costruito nel corso di 1400 anni. E, al contempo, i cristiani pagano per queste guerre tra sunniti e scitti e tra moderati e fondamentalisti, per quanto riguarda l’Egitto”.