Due quotidiani inglesi, Daily Mail e Daily Telegraph, confermano: Gran Bretagna e Stati Uniti sono pronti a lanciare attacchi missilistici contro il regime siriano.
Già la scorsa settimana, in un’intervista alla Cnn, il presidente Barack Obama aveva alluso alla possibilità di un intervento militare, avvalorato dal rafforzamento della presenza navale americana nel Mediterraneo con l’arrivo del cacciatorpediniere Uss Mahan.
Fonti della Casa Bianca, seppure sotto la copertura dell’anonimato, si sono affrettate a smentire le indiscrezioni riferite dalla stampa britannica, dicendo che “il presidente Barack Obama non ha preso alcuna decisione di passare all’azione sul piano militare“.
I COLLOQUI TRA USA E GB
Per i giornali inglesi invece la decisione di Usa e Gb è maturata in un colloquio telefonico durante il fine settimana durato circa quaranta minuti, per dare il via a un piano di cui ultimeranno i dettagli entro quarantotto ore. L’intenzione dei due leader, sottolineano le testate britanniche, è per il momento solo quella di mandare un chiaro avvertimento al regime di Bashar al-Assad per la morte di circa 1.300 persone mercoledì scorso, tra le quali molti bambini, in quello che si teme sia stato un attacco condotto con armi chimiche. Gli esperti dell’Onu dovrebbero raggiungere questa mattina la zona dell’attacco e raccogliere elementi per svelare il mistero; una decisione che gli Stati Uniti considerano però tardiva e pleonastica, perché convinti della responsabilità diretta del dittatore siriano.
L’APPOGGIO DELLA TURCHIA
Al fianco degli Usa anche la Turchia, ansiosa di riappropriarsi di un ruolo di primo piano nella regione, dopo essere stata scavalcata nella crisi egiziana dalla monarchia saudita. Il ministro degli Esteri di Ankara, Ahmet Davutoglu, in un’intervista concessa al quotidiano Milliyetche ha detto che “si unirebbe a una coalizione internazionale contro la Siria anche se il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non riuscisse a raggiungere un consenso” a riguardo. “Se in questo processo fosse formata una coalizione contro la Siria, la Turchia ne farebbe parte“, ha annunciato Davutoglu.
L’OPPOSIZIONE DI RUSSIA E IRAN
L’iniziativa angloamericana non convince invece Russia e Iran, alleati di Damasco. I due Paesi – sottolinea Guido Olimpio in un’analisi sul Corriere della Sera – “hanno messo in guardia la Casa Bianca. Per Mosca è necessario evitare gli errori compiuti in Iraq e dunque serve accertare con chiarezza cosa sia accaduto“.
Un monito replicato nel corso di un colloquio telefonico tra il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e il suo omologo americano John Kerry, in cui Mosca ha richiamato l’attenzione del suo interlocutore sulle “conseguenze estremamente gravi di un possibile intervento militare per il Medio Oriente e il Nord Africa o Paesi come l’Iraq e la Libia che sono ancora destabilizzati“.
E un rischio ulteriore anche in Siria, – spiega Olimpio – dove i militanti qaedisti di Al Nusra hanno annunciato che colpiranno le zone abitate dagli alawiti nella zona di Latakia, una rappresaglia al massacro dei gas.
Teheran, invece, dipinge scenari apocalittici: attenzione — dicono i mullah — le conseguenze saranno devastanti.
IL MODELLO KOSOVO
A fronte di tante divisioni, quali potranno essere gli scenari o le modalità dell’engagement americano nel Mediterraneo è oggetto di analisi che nel frattempo trovano ospitalità nel dibattito pubblico. Per il New York Times negli incontri riservati alla Casa Bianca l’amministrazione Obama starebbe studiando il caso del Kosovo come “possibile” piano “per un’azione senza il mandato delle Nazioni Unite“, con la Russia che probabilmente “metterebbe il proprio veto in Consiglio di Sicurezza” l’amministrazione potrebbe valutare se bypassare l’Onu sulla Siria.
Il Kosovo è un precedente “ovvio per Obama perché, come in Siria, civili sono stati uccisi e la Russia aveva legami di lunga durata con le autorità di governo accusate degli abusi. Nel 1999 il presidente Bill Clinton aveva usato l’appoggio della Nato e il fondamento logico di tutelare una popolazione vulnerabile per giustificare 78 giorni di incursioni aeree“.
LA DIVISIONE EUROPEA
A dare una mano all’alleato americano a sbrogliare la matassa non è certo l’Unione europea, che in questo momento delicato arriva completamente divisa, con i Paesi membri pronti a decidere in ordine sparso pro e contro di un intervento militare contro Damasco.
Poche ore dopo la diffusione dell’accusa di uso delle armi chimiche – come rilevato da Formiche.net – il ministro degli esteri francese Laurent Fabius aveva invocato una risposta adeguata e quindi l’intervento militare.
L’Italia con il ministro Emma Bonino ha scelto per il momento il tono della preoccupazione e della prudenza, di fatto stemperando l’interventismo di François Hollande, e legando la propria partecipazione a un improbabile assenso delle Nazioni Unite.
A mettere la parola fine all’ipotesi di una unitarietà europea sul tema ci ha pensato la cancelliera tedesca. Angela Merkel è contro un intervento militare in Siria e lo dice con chiarezza inequivoca: “Non seguiamo la strada di una soluzione militare“, ha dichiarato a Berlino il portavoce governativo, Steffen Seibert. “Non crediamo che sia possibile risolvere (il conflitto) dall’esterno, crediamo invece che debba essere trovata una soluzione politica“, ha detto.
Obama spiega le prossime mosse americane in Siria (fonte video: Cnn)