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Vi spiego errori e mosse di Obama in Siria. L’opinione di Rocca

Mancano ormai poche ore al preannunciato attacco statunitense al regime di Bashar al-Assad, reo di aver usato armi chimiche in un attacco che la scorsa settimana ha provocato oltre 1300 morti. Ma la violenza nella regione è figlia anche della strategia attendista di Barack Obama, che durante il suo mandato ha preferito mettere la polvere sotto il tappeto, piuttosto che confrontarsi con scelte dolorose. Ne è convinto Christian Rocca – giornalista, già inviato del Foglio e direttore di IL, il mensile del Sole 24 Ore – che in una conversazione con Formiche.net spiega mosse ed errori del presidente americano alla vigilia di un conflitto tutt’altro che semplice da gestire.

Rocca, l’attacco al regime di Assad sembra imminente. Come giudica le mosse di Obama in Siria?
Il presidente americano adesso è in una situazione difficile, quasi impossibile, ma in cui si trova esclusivamente per colpa sua. Non aveva intenzione di intervenire in Siria, perché segue la classica dottrina estera Usa improntata al realismo, ovvero “non ce ne importa niente di ciò che accade nel mondo, a meno che non vengano toccati gli interessi americani”. È una strategia che ha perseguito su tutto dall’inizio del suo mandato: dalle “primavere arabe” alle elezioni in Iran.
Ha iniziato però a maturare qualche ripensamento in Libia, dove il rischio di una vera e propria pulizia etnica lo ha spinto ad intervenire, ma “mandando avanti” gli altri. Ora non può più restare a guardare.

Perché?
Due anni fa, nel solco del suo pragmatismo, Obama fissò come paletto la famosa Red Line che Assad non avrebbe dovuto superare, ovvero quella dell’uso di armi chimiche. I suoi consiglieri consideravano il dittatore siriano un elemento stabilizzatore, utile a mantenere lo status quo e ridurre i problemi che potevano derivare da una degenerazione del quadro geopolitico. Destituirlo non era prioritario allora per la sua amministrazione. Come sappiamo la strategia di Obama non è riuscita ad influenzare i comportamenti di Damasco, che qualche giorno fa ha oltrepassato quel limite. E ora Obama si vede costretto a intervenire non solo perché ha dato un ultimatum e minaccia Assad da giorni, ma anche perché se sei presidente degli Stati Uniti, la prima potenza mondiale, se dici delle cose e poi non le fai non sei più credibile. Un lusso che non può permettersi.

C’è chi ritiene che Obama faccia bene a tenere fede alla sua vena pacifista.
Fanno ridere certi commenti che leggo sui giornali italiani, riconducibili più che altro a una certa politica e a un certo giornalismo di sinistra. Obama ha già bombardato cinque Paesi in questi anni senza l’avallo dell’Onu, portando avanti guerre al di fuori non solo della legalità internazionale, come ha detto qualcuno nei giorni scorsi, ma anche di quella nazionale visto che le sue azioni non sono state sottoposte a un voto del Congresso. Detto questo io consideravo e considero Obama un buon presidente e sapevo che non sarebbe stato quell’icona del pacifismo che hanno descritto. Anzi, si potrebbe dire che la sua realpolitik sia tipica della destra, a differenza dell’agire di George W. Bush, che col suo interventismo credeva di poter esportare la democrazia in quei Paesi dove era assente. A posteriori, per quanto Bush fosse criticabile, si deve però ammettere che egli aveva una strategia peraltro molto simile alla sinistra europea di ispirazione blairiana, mentre Obama ne è completamente privo. Dalla vicenda siriana emerge una grande lezione per il presidente americano e i suoi successori: in un mondo globalizzato, soprattutto in quella “polveriera del mondo” che è il Medio Oriente, non ci sono conflitti che non riguardino gli Usa. Questa è un’idiozia colossale, perché a forza di mettere la polvere sotto il tappeto poi i problemi ritornano moltiplicati per dieci. Il risultato della strategia di Obama è che dopo cinque anni di mandato il mondo arabo è più instabile che mai.

Gli Usa sono dunque condannati alla guerra preventiva?
Non credo, ma in questa vicenda credo che vada fatta una riflessione su un elemento che io considero immorale. Assad è un dittatore sanguinario. Lo era prima l’uso di armi chimiche e lo è ora, dopo averle utilizzate. Perché se uccide persone col gas posso attaccarlo e se invece ammazza con razzi e pallottole nessuno può far niente? Che differenza c’è tra questi morti? E poi la definizione stessa di pacifismo non esiste in questi casi. È vero, tutte le guerre portano a pericoli e conseguenze. Ma qual è l’alternativa? Continuare a consentire che continuino a proliferare gruppi e dittatori che promuovono il terrorismo? Essere fermi, essere pacifici vuol dire solamente essere complici.

Un attacco americano non rischierebbe però di allargare maggiormente il conflitto a Israele e Libano, con le note conseguenze?
Che l’Italia abbia tutto da perdere da un attacco è possibile, perché i nostri soldati in Libano correrebbero sicuramente rischi maggiori. Sappiamo che Hezbollah, il “partito di Dio” finanziato da Teheran, ma anche Hamas a Gaza probabilmente non rimarrà a guardare. Così come è vero che Israele corre un rischio reale, perché ogni volta che c’è stato un coinvolgimento militare americano in Medio Oriente, la risposta di Paesi arabi è stata quella di colpire Tel Aviv. Succede sempre così e anche ieri il leader del regime iraniano ha minacciato pressappoco la stessa cosa.
Ma Obama, come già detto, non può più esimersi dall’intervenire, anche davanti a questi scenari drammatici.

Che opzioni ha il presidente americano in caso di attacco?
Obama ha davanti a se tre scenari: un attacco leggero, che è ciò che i media hanno anticipato, che prevede che per due-tre giorni vengano colpiti obiettivi siriani sensibili per lanciare un chiaro segnale al regime; un’azione intermedia, in cui accanto a questo da una parte si decide di aiutare i ribelli dotandoli di armamenti, con tutti i rischi che comporta, e di affiancare ai bombardamenti delle missioni speciali sul terreno, raid mirati per colpire ulteriori obiettivi fino anche a colpire lo stesso Assad. È vero che gli Usa hanno detto che il “regime change” non è tra gli obiettivi di questa offensiva, ma anche in Libia non era nei programmi ma sappiamo com’è andata a finire. Infine c’è l’ipotesi di un intervento più ampio e massiccio, sicuramente più lungo e dispendioso. Io prevedo che si verificherà il primo scenario, che però non serve a niente. Che cosa succede se Assad riusa le armi chimiche? Si ritorna a bombardare per qualche giorno, per poi andar via?


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