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Ecco perché l’Italia fa bene a tenersi fuori dalla Siria. Parla il generale Camporini

È conto alla rovescia per un attacco militare americano in Siria. Secondo il Washington Post domani l’amministrazione Obama potrebbe rendere note le prove sull’uso del gas da parte di Assad, sentendosi libera di intervenire.

L’Italia, come annunciato dalla titolare della Farnesina Emma Bonino, non parteciperà al conflitto. Concetto rafforzato dal ministro della Difesa Mario Mauro che in un’intervista ad Avvenire ha detto che “l’Italia resterebbe fuori dalla Siria anche se si dovesse arrivare a una risoluzione nelle Nazioni Unite“.

Una scelta che il generale dell’Aeronautica Militare Vincenzo Camporini – ex capo di Stato maggiore della Difesa, attualmente vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali – in una conversazione con Formiche.net ha commentato “giusta per gli interessi del Paese“.

Generale Camporini, come va letto il conflitto che spinge gli Usa a un engagement in Siria?
Il conflitto presenta molti aspetti. In primo luogo in Siria si assiste a una battaglia per il predominio regionale combattuta tra Iran e Arabia Saudita. Poi c’è un dato etnico, in quanto la popolazione siriana è in parte persiana e in parte araba. Infine c’è un elemento di carattere religioso, con le ormai note divisioni nel mondo sciita e sunnita e all’interno degli stessi sunniti.

È per questo che il ministro degli Esteri Emma Bonino ha escluso una partecipazione italiana?
Non dobbiamo dimenticare che l’Italia ha circa mille soldati dispiegati nella Linea Blu che separa Israele dal Libano. Mettere a repentaglio le loro vite senza un obiettivo reale sarebbe incomprensibile e irresponsabile. Inoltre la Bonino ha fatto bene a mettere dei paletti chiari per circoscrivere l’impegno del nostro Paese. Questo chiarisce non solo la poca lungimiranza di chi vuole questo conflitto, ma anche che la via maestra per risolverlo non può che essere politica e coinvolgere tutti gli attori della vicenda. E l’Italia fa bene a non tenersi fuori da questo piano.

Quale apporto potrebbe dare l’Italia se le cose cambiassero?
Dal punto di vista del contributo militare siamo in una situazione totalmente diversa da quella libica. In Libia l’Italia era indispensabile per dare corso a un’azione bellica. In questo caso invece è irrilevante, perché le basi che sarebbero utilizzate si trovano in Turchia, Cipro, Giordania. Anche se messe a disposizione, le nostre basi si trovano a distanze tali dal luogo degli attacchi che servirebbero onerose operazioni di rifornimento in volo.
Credo che a limite potremmo offrire supporto logistico, con i nostri porti e aeroporti a fungere da basi logistiche per raggiungere le basi operative.
In più potremmo fornire dei Tornado Ecr per zittire le difese aeree siriane, Amx Tornado come cacciabombardieri ed Eurofighter per partecipare a una no fly zone.

Come ritiene si debba procedere?
Sicuramente non per via militare. Siamo di fronte a un conflitto epocale e complesso, che può risolversi solo intensificando gli sforzi politici e coinvolgendo in buon fede tutti coloro che hanno qualcosa da dire nell’area come Russia e Iran ad esempio. Se ciò non accadesse, ci sarebbe il rischio concreto che lo scontro si allarghi a zone limitrofe, compresa e Israele.

Ciò che teme l’Amministrazione Usa…
Io credo che Barack Obama si stia comportando bene fino ad ora, agendo in modo molto prudente. Certo, non può non condannare l’uso di armi chimiche, come del resto ha fatto il governo italiano. Ma allo stato attuale non è possibile dire con chiarezza quali sarebbero le conseguenze reali di un intervento militare, che potrebbe coinvolgere anche Teheran. Ad ogni modo per me sarebbe da sconsigliare per un motivo semplicissimo: l’impiego di Forze armate deve avvenire solo in funzione di un fine politico ben chiaro. In Siria mi sembra che questo obiettivo sia del tutto assente al momento, anche perché le possibilità di pacificazione della regione, in caso di azione unilaterale, sarebbero prossime allo zero.

Su Formiche.net Carlo Panella, firma del Foglio e di Libero, ha affermato che non si sarebbe giunti a questo punto se Washington avesse armato i ribelli prima che la situazione degenerasse.
Ciò presuppone che prima ci fosse un’opposizione siriana compatta, cosa che non è mai accaduta. Come sappiamo all’interno degli oppositori al regime di Assad sono infiltrate da tempo anche frange terroriste. E anche se non lo fossero state due o tre anni fa, non si sarebbe potuto escludere che tali armamenti finissero nelle mani sbagliate, con conseguenze disastrose. In realtà stiamo assistendo a un conflitto epocale tra diverse concezioni dell’Islam e della democrazia stessa e ho il timore che, in questo ed altri casi, noi occidentali veniamo trascinati e strumentalizzati per fini che non sono congrui ai nostri interessi.

Interessi che nemmeno l’Unione europea, divisa com’è, sembra capace di tutelare.
O l’Europa si decide a dotarsi di strumenti comuni di politica internazionale o in futuro è destinata ad una assoluta irrilevanza.


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