E’ durissimo il monito della Santa Sede rivolto agli Stati Uniti. Washington non viene mai citata, ma il destinatario principale delle parole del Papa pronunciate ieri all’Angelus è chiaro. Così come netto è il contenuto delle dichiarazioni di mons. Mario Toso, segretario del Pontificio consiglio Giustizia e Pace, rilasciate oggi a Radio Vaticana. “La via di soluzione dei problemi della Siria non può essere quella dell’intervento armato. La situazione di violenza non ne verrebbe diminuita. C’è, anzi, il rischio che deflagri e si estenda ad altri Paesi. Il conflitto in Siria contiene tutti gli ingredienti per esplodere in una guerra di dimensioni mondiali”, ha detto mons. Toso. “Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza”, aveva gridato ventiquattr’ore prima affacciato dalla finestra dello studio privato nel Palazzo apostolico, Papa Francesco.
Un no netto a ogni intervento armato contro Damasco, quindi. Una posizione fatta propria da Bergoglio sabato mattina, quando a Santa Marta sono stati ricevuti collegialmente in udienza tutti i vertici della segreteria di stato e il prefetto della Congregazione per le chiese orientali, il cardinale Leonardo Sandri. Una riunione convocata appositamente per perfezionare la linea della Santa Sede riguardo gli sviluppi di quanto sta accadendo a Damasco.
Prevale la linea della prudenza
A prevalere, come era facilmente ipotizzabile, è stata la corrente di chi chiedeva prudenza. Non a caso, l’osservatore permanente all’Onu di Ginevra, mons. Silvano Maria Tomasi, invitava a “non partire con un pregiudizio, dicendo che questo o quello sono responsabili”. E in riferimento al potenziale casus belli, l’attacco governativo condotto con i gas usati contro le popolazioni civili, il diplomatico della Santa Sede aggiungeva che “dobbiamo chiarire il fatto, anche perché da un punto di vista d’interessi immediati, al governo di Damasco non serve questo tipo di tragedia, sapendo che ne è comunque incolpato direttamente”. L’Osservatore Romano, poi, era stato ancor più esplicito con l’articolo d’apertura di giovedì scorso: no alla guerra. “Il punto cruciale è nelle presunte prove della responsabilità attribuita ad Assad di un attacco con armi chimiche sferrato il 21 agosto”. Un’idea più precisa, il Papa se l’era fatta poi ricevendo in udienza il re giordano Abdallah II, al quale aveva ribadito la necessità di trovare una via d’uscita diplomatica alla crisi.
Il destino dei cristiani in medio oriente
Dietro alla netta e aperta contrarietà a un attacco contro Assad (anche in caso di strike limitato), c’è la preoccupazione per il destino cui potrebbero andare incontro i cristiani nel caso venisse meno la protezione dell’attuale presidente siriano. E’ indubbio, infatti, che la caduta di Assad propizierebbe l’avvento di una stagione di insicurezza in cui le comunità cristiane sarebbero esposte alle vendette e alle rappresaglie dei gruppi islamisti più radicali in guerra con il rais. L’esempio, viene fatto notare dalla Santa Sede, è quello dell’Egitto. Caduto Mubarak, i copti sono divenuti l’elemento debole da colpire da parte delle frange estremiste. E ciò nonostante neppure con la protezione del successore di Sadat potessero sentirsi al sicuro. Ecco perché il Vaticano non vuole prendere in considerazione l’idea di un regime change che possa sfuggire al controllo occidentale e portare all’instabilità.
In questo senso, è fatto proprio dalle alte gerarchie quanto detto pochi giorni fa dal Patriarca di Antiochia dei Maroniti, il cardinale Boutros Bechara Rai, libanese: “In Iraq e in Siria, la guerra è tra sunniti e sciiti; in Egitto la guerra è tra fondamentalisti, tra cui i Fratelli musulmani, e i moderati. Sono guerre senza fine ma – mi dispiace di doverlo dire – ci sono dei Paesi, soprattutto occidentali, ma anche dell’Oriente, che stanno fomentando tutti questi conflitti. Bisogna trovare una soluzione a tutti questi problemi”, affermava intervistato da Radio Vaticana. Come sempre, quando si verifica il caos o quando c’è una guerra, in generale i musulmani si scatenano contro i cristiani, come se i cristiani fossero sempre il capro espiatorio. Mi dispiace, ma in Egitto sono stati i Fratelli musulmani che hanno attaccato le chiese dei copti e i copti stessi … Purtroppo, questa è la mentalità di certi musulmani: ogni volta che c’è una situazione di caos, si attaccano i cristiani senza nemmeno sapere perché! La stessa cosa è successa anche in Iraq, e sta succedendo in Siria e ora in Egitto. Loro non sanno perché attaccano i cristiani, ma è così”. Ciò che chiedono i cristiani, chiariva il Patriarca, “è la sicurezza e la stabilità”.