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Siria, ecco le ultime mosse di Papa Francesco

Nessuna telefonata ad Assad come scriveva il quotidiano argentino Clarin. Padre Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, ha smentito l’indiscrezione in modo “categorico”. Ma ciò non significa che l’azione diplomatica di Papa Francesco sia più soft.

La lettera a Putin

Tutt’altro. In coincidenza con l’apertura del G20 a San Pietroburgo, la Sala Stampa della Santa Sede ha diffuso una lunga lettera che il Pontefice ha scritto e inviato a Vladimir Putin. “Duole constatare che troppi interessi di parte hanno prevalso da quando è iniziato il conflitto siriano”, scrive Bergoglio, “impedendo di trovare una soluzione che evitasse l’inutile massacro a cui stiamo assistendo”. Ecco perché, auspica il Pontefice, “i leader degli Stati del G20 non rimangano inerti di fronte ai drammi che vive già da troppo tempo la cara popolazione siriana e che rischiano di portare nuove sofferenze ad una regione tanto provata e bisognosa di pace”. Francesco rivolge quindi “un sentito appello perché si aiutino a trovare vie per superare le diverse contrapposizioni” e si “abbandoni ogni vana pretesa di una soluzione militare”. L’obiettivo dichiarato è sempre lo stesso, già fatto proprio dal Papa nell’Angelus di domenica scorsa: “Ci sia un nuovo impegno a perseguire, con coraggio e determinazione, una soluzione pacifica attraverso il dialogo e il negoziato tra le parti interessate con il sostegno della comunità internazionale”. Infine, il gesuita argentino succeduto a Benedetto XVI lo scorso marzo, non dimentica “coloro che soffrono a causa del conflitto dentro e fuori dal Paese”. Per loro è “un dovere morale di tutti i governi del mondo favorire ogni iniziativa volta a promuovere l’assistenza umanitaria”.

La linea della Santa Sede

La lettera del Papa a Putin viene resa nota in una giornata densa di appuntamenti per la diplomazia vaticana. In mattinata, ben 71 ambasciatori accreditati presso la Santa Sede (quasi la totalità) hanno partecipato a una riunione organizzata dalla Segreteria di Stato in cui è stata delineata con maggiore chiarezza la posizione della chiesa cattolica circa la crisi siriana. Il segretario per i Rapporti con gli Stati, monsignor Dominique Mamberti, ha ricordato innanzitutto che “fin da subito la Santa Sede non ha mancato di manifestare con chiarezza la sua posizione”. Un esempio? Il discorso al Corpo diplomatico del 7 gennaio 2013: “Porre fine a un conflitto che non vedrà vincitori ma solo sconfitti”, “necessità di aprire un dialogo costruttivo fra le parti e favorire l’aiuto umanitario alla popolazione”, diceva Papa Ratzinger. Inoltre, precisa Mamberti, “già dal suo primo messaggio pasquale Urbi et orbi, Papa Francesco si domandava “quante sofferenze dovranno ancora essere inflitte prima che si riesca a trovare una soluzione politica alla crisi?”.

I tre principi generali per risolvere il conflitto
Venendo alla posizione più dettagliata e politica della Santa Sede, il numero 3 della Segreteria di Stato ha precisato che ci sono “tre principi generali che dovrebbero orientare la ricerca di una giusta soluzione al conflitto”: innanzitutto, “è indispensabile adoperarsi per il ripristino del dialogo fra le parti e per la riconciliazione del popolo siriano”. Occorre poi “preservare l’unità del paese, evitando la costituzione di zone diverse per le varie componenti della società” e, assieme a ciò, “garantire anche l’integrità territoriale della Siria”. Chiusura netta, dunque, a ogni ipotesi di attacco armato contro Damasco.

Il principio della Guerra giusta
Ma è anche vero, come tradizione insegna, che in un secondo momento, se la situazione dovesse mutare, la Santa Sede sarà pronta ad aggiornare la propria posizione. Nulla può essere escluso. Il bellum iustum è un principio che, seppur in casi assai limitati e circostanziati, anche nella seconda parte del Novecento è stato a volte fatto proprio dal Magistero. In particolare, il riferimento va a Giovanni Paolo II, che parlò di “dovere per le nazioni e la comunità internazionale intervenire nelle situazioni che compromettono gravemente la sopravvivenza di popoli e di interi gruppi etnici”. L’importante, però, è che l’azione fosse valutata, decisa e condotta dagli organismi internazionali, in primis dall’Onu. Una situazione completamente diversa da quella attuale, nonostante la ferma condanna reiterata anche nei giorni scorsi dal Papa dell’uso di armi chimiche sulla popolazione civile.


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