Ci voleva l’onestà intellettuale di un navigato diplomatico dello spessore del ministro degli Esteri russo per esprimere quella che sarebbe dovuta essere una ovvietà per un lettore minimamente accorto della politica estera.
”La proposta di mettere le armi chimiche siriane sotto controllo internazionale non è una iniziativa del tutto russa ma deriva dai nostri contatti con i colleghi americani e dalla dichiarazione fatta ieri da Kerry”. Serghiei Lavrov rende giustizia di una interpretazione – particolarmente diffusa in Italia – secondo cui sarebbe stato il genio di Putin a partorire l’idea che ha bloccato, c’è da sperare definitivamente, l’iniziativa militare contro il regime di Damasco.
Se si è arrivati alla svolta è stato merito della forza della minaccia Usa e dalla reazione diplomatica che ne è seguita, compresa la imponente manifestazione Pray for Peace voluta da Papa Francesco. Oggi Human Right Watch ha presentato un rapporto molto corposo e serio (oltre che indipendente) che spiega le ragioni per cui è del tutto plausibile che sia stato l’esercito lealista di Assad ad usare i gas nervini. Si tratta di un altro tassello che si aggiunge ad un quadro che complessivamente rischiava di mettere all’angolo la strategia difensiva della Russia.
La solidarietà sciita si sta rivelando meno convinta di quel che appare ed il braccio di ferro che Putin voleva fare al G20 non è riuscita. Meglio quindi una exit strategy che consenta sia a Washington che a Mosca di meglio ripozionarsi sul complicato scacchiere mediterraneo. Quel che è certo è che, diversamente da quanto scritto da tanti neo-apologhi di Putin, la Russia ieri ha fatto un passo in avanti che copre un più vistoso arretramento. Obama, che ora può anche rinviare il voto del Congresso, non ne esce ancora personalmente rafforzato ma la sua Amministrazione può tirare un sospiro di sollievo. Il braccio di ferro per ora l’hanno vinto loro e senza sprecare una sola munizione.