Gustavo Gutierrez (nella foto), uno dei padri della Teologia della Liberazione, sarà ricevuto dal Papa. È questione di giorni, ha detto sabato scorso il prefetto per la Congregazione della Dottrina della fede, monsignor Gerhard Ludwig Muller. È il passo definitivo verso la piena riabilitazione della corrente di pensiero sorta alla fine degli anni Sessanta, appena dopo la fine del Concilio, in America latina.
Gutierrez, in Italia per la presentazione dell’edizione italiana del libro scritto nel 2004 proprio con Muller (“Dalla parte dei poveri. Teologia della Liberazione, teologia della chiesa), è finito per anni sotto la lente dell’ex Sant’Uffizio, allora guidato dal cardinale Ratzinger. Ma i suoi testi non sono mai stati condannati. Per averne conferma, è sufficiente rileggere l’istruzione “Libertatis nuntius”, firmata nel 1984 da colui che ventuno anni dopo diverrà Papa come Benedetto XVI e la “Libertatis coscientia” (1986).
Ratzinger non condannò mai Gutierrez
Due testi che non contengono affatto solo critiche alla Teologia della Liberazione. A dirlo, come riportava qualche giorno fa sull’Osservatore Romano padre Ugo Sartorio, è lo stesso Muller: “La TdL non è solo una sociologia drappeggiata di teologia o una sorta di sociobiologia. La teologia della liberazione è teologia in senso stretto”. E nella “Libertatis nuntius”, si mette in chiaro che “le antropologie empiriche devono essere chiarite alla luce di un’antropologia filosofica e teologica, diventando così feconde per un’indagine di tipo teologico”. Era inevitabile, scrive ancora padre Sartorio, che con un Papa latinoamericano la teologia della liberazione non potesse rimanere a lungo nel cono d’ombra nel quale è stata relegata da alcuni anni, almeno in Europa. Il punto, prosegue il direttore del Messaggero di Sant’Antonio, “è che è stata messa fuori gioco da un doppio pregiudizio: quello che non ha ancora metabolizzato la fase conflittuale della metà degli anni Ottanta e quello ingessato nel rifiuto di una teologia ritenuta troppo di sinistra e quindi tendenziosa”.
Le perplessità dei tradizionalisti
Nel mondo cattolico tradizionalista, il “ricongiungimento” tra Gutierrez e Roma non è stato accolto con favore. Niente di nuovo, visto che oltre al rifiuto totale della Teologia della Liberazione si accompagna da tempo un giudizio poco lusinghiero nei riguardi di monsignor Muller. Al prefetto tedesco, infatti, viene imputata proprio la sua vicinanza a quella corrente di pensiero che si rifà ai Gutierrez e ai Leonardo Boff. Già nei mesi in cui Ratzinger valutava i dossier dei “candidati” a succedere al cardinale William Joseph Levada – e Muller è sempre stato in prima fila –, molti storcevano il naso. Troppo diverso dalla linea ventennale impressa all’ex Sant’Uffizio proprio da Ratzinger. Ma Benedetto XVI, che Muller lo conosceva bene, decise di nominare proprio l’allora vescovo di Ratisbona.
Le parole di Bergoglio sulla Teologia della liberazione
Bergoglio non è inquadrabile all’interno della Teologia della liberazione. Più volte, in passato, si è espresso chiaramente a riguardo. Come nel 2005, quando scrisse: “Dopo il crollo dell’impero totalitario del “socialismo reale” queste correnti di pensiero sono sprofondate nello sconcerto. Incapaci sia di una riformulazione radicale che di una nuova creatività, sono sopravvissute per inerzia, anche se non manca ancora oggi chi le voglia anacronisticamente riproporre”. Errato e sbrigativo, dunque, ascrivere Francesco tra i seguaci di Boff e Gutierrez solo in base ai suoi costanti riferimenti al sogno di avere una “chiesa povera per i poveri”. D’altronde, scrive il vaticanista dell’Espresso Sandro Magister, “i suoi teologi di riferimento non sono mai stati Gutiérrez, né Leonardo Boff, né Jon Sobrino, ma l’argentino Juan Carlos Scannone, che aveva elaborato una teologia non della liberazione ma “del popolo”, centrata sulla cultura e la religiosità della gente comune, dei poveri in primo luogo, con la loro spiritualità tradizionale e la loro sensibilità per la giustizia” .
Francesco non è un Papa progressista
Ma di un Papa progressista si parla da tempo, fin dalla sua elezione, quasi fosse in contrapposizione con il conservatore Ratzinger. Niente di più sbagliato, come dimostra l’intera biografia di Francesco. Eppure, i suoi riferimenti alla “guerra fatta per il commercio di armi” hanno fatto pensare ad un allontanamento progressivo della politica della Santa Sede da quella americana. Ma anche qui ci si sbaglia. Francesco non intende calarsi nell’agone politico, il suo “pacifismo” è mera interpretazione del dettato evangelico, è rifarsi integralmente al Magistero di Benedetto XV, Giovanni XXXIII e Paolo VI, che anche sabato scorso ha citato durante la Veglia di preghiera. Quello che manca, ora, è un riferimento al “dovere di intervenire in soccorso dei civili attaccati dai rispettivi governi” fatto proprio da Giovanni Paolo II nel 1992 e da Benedetto XVI nel 2008. Ma non è escluso affatto che questo ulteriore passaggio sarà fatto se e quando scoppierà il conflitto siriano, rendendo vani gli sforzi del Vaticano per mobilitare le coscienze e organizzare le diplomazie. Per ora, l’Osservatore Romano dà ampio risalto alle parole di monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, pacifista convinto e su posizioni più che progressiste, che rilegge il Magistero dei papi del Novecento, “profeti e missionari di pace”.