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Sforzi e incognite di Obama nel dialogo con Russia e Siria

Barack Obama apre alla via diplomatica, ma avverte gli Stati Uniti che, per quanto impopolare, è ancora realistica la possibilità che in Siria sia necessario un intervento militare.
Nel suo discorso alla Nazione, il presidente americano ha lasciato intendere che se si giungerà a una soluzione pacifica sarà anche e sopratutto per merito della pressione statunitense sul regime di Bashar al-Assad.

Sono tante però le incognite che avvolgono la “fiducia” condizionata che Obama ha accordato all’exit strategy costruita sull’asse Kerry-Lavrov.

I PERICOLI DELL’ATTESA
Barry Pavel, vice presidente e direttore del Centro per la Sicurezza Internazionale “Brent Scowcroft” di Atlantic Council, è convinto che lasciare altro tempo ad Assad possa essere estremamente pericoloso per la sicurezza dei civili siriani, della regione e dello stesso Occidente.
L’attendismo di Obama, secondo Pavel, “garantisce al dittatore siriano da un lato un allungamento della propria sopravvivenza al potere e dall’altro, in queste ore, gli sta consentendo di cambiare strategia militare spostando le sue truppe e di nascondere in siti sicuri ingenti quantità di agenti neurotossici” prima di consegnare il resto alla comunità internazionale, guadagnando la possibilità di usare queste armi a sorpresa in futuro.

UN PIANO DIFFICILE
I potenziali problemi di un accordo col regime non terminerebbero qui. Ammesso che si riesca a mettere davvero mano all’interezza dell’imponente arsenale chimico di Assad, rimarrebbe sempre il nodo di come smantellarlo. Per il senior writer di Foreign Policy Yochi Dreazen, il parere degli esperti è che “decine di nuovi impianti per la distruzione delle armi andrebbero costruiti da zero” o importati. Servirebbero “circa dieci anni” per completare un lavoro che richiederebbe “l’impiego di personale militare e civile altamente specializzato“. Il tutto, andrebbe realizzato “nel bel mezzo di una guerra civile“. Quasi “impossibile“.

IL RISCHIO LEGITTIMAZIONE
A problemi di natura tecnica, vanno poi affiancate valutazioni di carattere politico. Accettare di scendere a patti col governo siriano significherebbe legittimarlo. Il professore di Scienze politiche all’Università della British Columbia Richard Price, in un’analisi pubblicata da Foreign Affairs, mette in evidenza come “aprire ad un maggiore controllo sulle armi chimiche in possesso di Assad sia senz’altro positivo, ma rischierebbe di mandare all’aria il lavoro di isolamento del regime operato negli ultimi due anni dagli Stati Uniti e dalla comunità internazionale“. Alcune nazioni hanno addirittura riconosciuto l’opposizione siriana come il governo legittimo del Paese. Ora, se il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dovesse ritenere valido il programma di monitoraggio dell’arsenale chimico siriano, Assad “diventerebbe a tutti gli effetti un partner della comunità internazionale“.

LA MANCANZA DI CREDIBILITÀ
Ma la pecca più grande di un cedimento di Obama alla via diplomatica rimane per gli osservatori l’effetto che questa scelta potrebbe avere sul ruolo dell’America nel mondo e nelle sfide future per il mantenimento della sua leadership globale. “Qual è il messaggio che gli Stati Uniti lanciano all’Iran? Che cosa intendeva realmente il presidente americano quando ha detto che la condotta nucleare della Repubblica islamica è “inaccettabile”? Oppure, è molto più probabile che questo presidente, e questo Congresso, non avrebbero mai il coraggio di usare la forza per costringere Teheran a interrompere il suo programma di sviluppo di armi atomiche?” L’Arabia Saudita e Israele – come spiega The Times of Israel dando spazio alle dichiarazioni di Avigdor Liberman, ex ministro degli Esteri e leader del partito nazionalista Yisrael Beiteinu – sono molto preoccupati per questa mancanza di decisionismo degli Usa che rischia di minarne la credibilità e di far piombare la regione nel caos. Anche con questi problemi Obama dovrà confrontarsi prima di archiviare definitivamente un intervento militare contro Damasco.

Il discorso di Obama alla Nazione sulla Siria


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