“Restituire ai governi del Vecchio Continente la sovranità monetaria per rifondare un’Europa alternativa a quella costruita dai difensori della moneta unica senza se e senza ma. E sfidare il dogmatismo egemone nel nostro paese sull’Unione economico-monetaria”.
È con questo slogan che i più fieri avversari del processo di integrazione fondato sull’euro si sono ritrovati in un convegno promosso ieri alla Camera dei deputati dalla Facoltà di Economia dell’Università “Gabriele d’Annunzio” di Pescara e Chieti, dalla Link Campus University e dall’associazione di ricerca economica A/Simmetrie. Spunto dell’iniziativa la presentazione del libro “Europa Kaputt. (S)venduti all’Euro” scritto da Antonio Rinaldi, docente di Finanza aziendale nell’Ateneo abruzzese e già autore de “Il Fallimento dell’Euro?”.
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Le ragioni degli avversari dell’odierna Unione Europea
È il rettore di Link Campus Enzo Scotti a spiegare “perché bisogna superare l’inerzia di una politica che ha delegato allo spontaneismo dei mercati le questioni planetarie, la povertà culturale di una scienza economica imprigionata nella contrapposizione manichea tra scuole e ideologie, un’Europa economico-finanziaria priva di coraggio e creatività inadeguata a fronteggiare i cicli recessivi e l’impennata fuori controllo del debito pubblico”. Una realtà, rimarca il professore di Economia aziendale all’Università Cattolica di Milano, Claudio Borghi, imperniata su una moneta comune fondata sul cambio forte che favorisce i consumatori europei nell’acquisto di prodotti extra-comunitari ma provoca riflessi nefasti sulla produzione delle piccole e medie imprese e sull’occupazione nei singoli paesi.
Ricadute aggravate dal comportamento cinico messo in luce da Alberto Bagnai, docente di Politica economica nell’Ateneo di Pescara e Chieti: “Ue e banche del Nord Europa hanno prestato un flusso enorme di denaro senza oculatezza e nell’aspettativa di ingenti profitti a nazioni che presentavano un rapporto deficit-PIL di oltre il 15 per cento, oltre a redditi arretrati di vent’anni rispetto ai paesi più avanzati, per favorirne l’ingresso nell’Eurozona. Provocando una frattura incolmabile fra l’economia tedesca in piena fioritura anche grazie ai crediti elargiti e il declino produttivo degli Stati meridionali soffocati dai debiti”. Una scelta irresponsabile, osserva lo studioso, assunta nonostante fin dagli anni Novanta fossero ben presenti i rischi legati alla creazione di una moneta unica non ancorata allo sviluppo di economie reali sottostanti. Mentalità che “per l’Italia si è tradotta fin dal 1996 nell’ancoraggio commerciale a un meccanismo di cambi fissi, con grave detrimento verso le possibilità di una politica industriale mirata allo sviluppo delle PMI”. E al ‘96, puntualizza Bagnai, risale l’avvio del nostro declino produttivo e reddituale, culminato in una desertificazione delle eccellenze nazionali via via inglobate dalle multinazionali straniere.
La sfida culturale lanciata da Paolo Savona e Giuseppe Guarino
Tra i rari economisti che con largo anticipo avevano preconizzato il destino fallimentare del percorso di integrazione monetaria vi è Paolo Savona, professore emerito di Politica economica e già ministro dell’Industria, commercio, artigianato nel governo Ciampi. Autore nel 1999 del libro “L’Europa dai piedi d’argilla” e promotore nel maggio 2013 di un manifesto-appello per un nuovo Trattato europeo su fondamenta politico-consensuali, l’economista di formazione Bankitalia punta il dito contro “l’apologia acritica delle istituzioni comunitarie incarnata da custodi del liberismo come l’Università Bocconi e il Workshop di Cernobbio. Elogio compiuto in nome della via economica all’Europa, priva di sbocco e pericolosa”. La strada da privilegiare “è la via giuridica verso l’Europa, che comporta l’abbandono delle fisime monetariste e il ritorno a una politica industriale volta a proteggere le nostre aziende dalla unfair competition: non quella portata avanti da Microsoft e sanzionata a suo tempo da Mario Monti ma quella prodotta dai 27 sistemi bancari e fiscali esistenti nel Vecchio Continente”.
È la premessa per il ragionamento svolto da Giuseppe Guarino, giurista e professore emerito di Diritto costituzionale, pubblico e amministrativo all’Università “La Sapienza” oltre che predecessore di Savona al Ministero delle attività produttive e delle partecipazioni statali. A giudizio di Guarino la graduale e decennale depressione dell’Eurozona è frutto del “tradimento del progetto dei padri fondatori dell’Unione”. La costruzione comunitaria, spiega il giurista, scaturì dalla volontà di Italia, Francia e Germania di rinunciare alla sovranità sui confini politici e sul governo della moneta in cambio dell’attribuzione a istituzioni democratiche comuni della garanzia di una crescita equilibrata, armoniosa e creatrice di opportunità di lavoro. Ma quel mandato venne contraddetto nel momento in cui fu adottata la moneta unica. Perché se i trattati parlavano di una valuta istituita da una forte autorità politico-bancaria secondo le regole della libera concorrenza valutaria, l’euro autorizzato nel 1997 da un regolamento della Commissione guidata da Jaques Santer era affrancato dai “vincoli democratici” tipici delle grandi divise occidentali. L’Unione economica e monetaria fu poi minata alla radice con la rinuncia a imporre una valuta comune per il mercato unico e con il riconoscimento per Gran Bretagna e altri paesi della facoltà di recedere dall’euro. Mentre gli Stati rimasti nell’Eurozona si sono visti sottrarre gli strumenti per promuovere in autonomia una crescita sana e armonica. Ad essi è stato riservato solo un margine di indebitamento entro limiti ben precisi.
Un approdo politico per i critici dell’euro?
Ma allora che fare? Richiamandosi al celebre interrogativo di Lenin, Guarino vorrebbe incoraggiare una vasta iniziativa pubblica capace di promuovere un’inversione di rotta. Prospettiva che per ora appare remota. Gli esponenti politici presenti al convegno, aderenti alle forze di un probabile rassemblement di centro-destra, si sono limitati a una manifestazione di interesse. Fra loro Gianni Alemanno, Guido Crosetto, Mario Tassone, Magdi Cristiano Allam. Autore del più politico degli interventi è stato un uomo della sinistra democratica lontano dalla vita parlamentare, Giorgio La Malfa. Un sincero europeista persuaso che oggi la moneta unica è l’ostacolo alle aspirazioni di unità politica del Vecchio Continente. È questa “la colpa imperdonabile derivante dall’adozione dell’euro, compiuta in omaggio alle teorie liberiste di Friedrich Von Hayek per cui le dinamiche monetarie ed economico-industriali devono essere libere dal controllo politico”. Ed è l’ex segretario del Partito repubblicano che, ammonendo sui rischi “argentini” di un eventuale abbandono della valuta comune da parte del nostro paese, chiarisce la posta in gioco: “Siamo disposti a fondare un movimento politico pro-unità europea e critico verso l’euro?”