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Ilva, la colpa è dei Riva, della politica o della magistratura?

Riva, primo gruppo siderurgico del Paese, rischia di chiudere i battenti e con esso la quasi totalità dell’industria dell’acciaio italiano e la sua filiera economica.

L’allarme è arrivato dopo una nota con la quale ieri la stessa azienda ha comunicato la cessazione di tutte le attività italiane, tra cui quelle produttive, in diversi stabilimenti.

L’ANALISI DI ILLY
La notizia non poteva che attirare commenti e analisi di addetti ai lavori, politici, economisti. E di imprenditori come Riccardo Illy (nella fotoche dalle pagine di InPiù ha individuato quelle che ritiene le colpe “trasversali” del fallimento.

UNA COLPA CONDIVISA
Nel bel mezzo di una severa crisi economica – commenta l’industriale triestino – l’Italia “riesce non solo a respingere gli investimenti stranieri ma perfino a far chiudere una delle poche grandi imprese nazionali“. Per Illy “le cause di questa disfatta nazionale, sommo sintomo della nostra decadenza, sono principalmente due. Da un lato un serpeggiante sentimento anti-industriale (e finanche anti-imprenditoriale) che avvelena parte della società“, dice citando il caso di British Gas con il rigassificatore di Brindisi.
Dall’altro – aggiunge l’imprenditore – la politica, che in più di 60 anni… non ha saputo adeguare la Costituzione, assieme alle norme di “governance”, alle mutate situazioni socio-economiche e internazionali, lasciando il Paese nella ingovernabilità palese o strisciante“, abdicando in favore della “magistratura, che ha quasi sempre deciso secondo Giustizia ma non altrettanto saggiamente“.

LE RAGIONI DEL GRUPPO
Un’analisi, quella di Illy, probabilmente condivisa da Riva Acciaio per il quale la decisione di bloccare la produzione “è stata necessaria“, poiché dopo il provvedimento di sequestro preventivo penale del GIP di Taranto, il gruppo ha subito il blocco delle attività bancarie, che impedendo il normale ciclo di pagamenti aziendali fa sì che non esistano più le condizioni operative ed economiche per la prosecuzione della normale attività.

LA PROTESTA DI FEDERACCIAI
La situazione è descritta in modo ancora più diretto da Antonio Gozzipresidente di Federacciai, già intervistato sul tema da Formiche.net, per il quale lo status quo “rappresenta l’esito annunciato di un accanimento giudiziario senza precedenti“, nonché “la conseguenza di un braccio di ferro tra magistratura e Governo, con la magistratura che ha prevalso vanificando, di fatto, ben due leggi dello Stato, la legge 231 e quella successiva sul commissariamento“.

UN INTERESSE STRATEGICO
La fine delle attività italiane del gruppo, per grandezza e ripercussioni, sarebbe però per molti osservatori una vera tragedia economica e pertanto va trattata in modo differente da altre vertenze. Per lo storico dell’industria Federico Pirro, il primo gruppo siderurgico italiano potrebbe essere classificato esso stesso nella sua interezza di “interesse strategico” per l’economia del Paese, così come è stato già definito il suo megasito di Taranto.


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