La diaspora della destra italiana sembra finita. Riuniti nella giornata conclusiva della Festa di Atreju (GUARDA LA PHOTOGALLERY DI UMBERTO PIZZI), gli esponenti della galassia conservatrice hanno gettato le fondamenta di un’unica casa comune. La cui fisionomia è improntata al rifiuto dell’“Unione Europea dei banchieri e dei mercanti e del suo pilastro monetario soggetto ai diktat tedeschi” in nome di parole d’ordine come sovranità economica e identità nazionale, all’ostilità contro “la tirannia del relativismo multiculturale”, alla tutela intransigente dei “valori non negoziabili”. Un programma su cui costruire l’alleanza con la nuova Forza Italia ora che è tramontato il disegno di una formazione unitaria dei moderati. Ma questa volta senza sudditanza. Resta infatti sullo sfondo il problema della leadership del centro-destra, così come il destino politico-giudiziario di Silvio Berlusconi.
La bussola della nuova destra
A prospettare le linee guida del nuovo soggetto è Giorgia Meloni, mente e cuore di Atreju, che respinge l’idea di voler rifondare Alleanza nazionale in forma speculare alla rinascita di Forza Italia. L’approdo dovrà essere “un movimento popolare calato nell’anima della nazione, conservatore nei valori e rivoluzionario nell’attitudine al cambiamento, partecipato e non oligarchico”. Ostile al consociativismo e al compromesso a tutti i costi che ha ipotecato il futuro delle generazioni future, “ai 300mila pensionati e stipendiati d’oro e alle mistificazioni della generazione del ’68”. Fautore della legalità contro la sopraffazione mafiosa e a fianco degli imprenditori che ogni giorno sfidano la crisi. Ma inflessibile con “la lobby delle aziende beneficiarie di trasferimenti statali salvo delocalizzare ai primi segni di difficoltà privatizzando i profitti e socializzando le perdite con la cassa integrazione”. Favorevole a un regime fiscale calibrato sulle esigenze delle famiglie e limitato da un tetto costituzionale e “pronto a pretendere il giusto contributo da troppe banche che evadono e dalle case da gioco che devono 98 miliardi mentre il governo gliene chiede 2”. Un movimento che tuteli l’ambiente “perché l’ecologismo e la green economy non sono monopolio della sinistra”, promotore di cultura e turismo “che devono restare di proprietà pubblica ma possono essere gestiti in maniera fruttuosa dai privati”.
Una formazione, rimarca la leader di Fratelli d’Italia, che sogni “un’Europa non soffocata dal cappio dell’euro a egemonia tedesca, fiera delle radici greco-romane e cristiane, capace di una politica estera dignitosa oggi incarnata soltanto da Vladimir Putin”. Un partito che si batte “per tutelare la vita in ogni suo stadio, contrasta l’equiparazione delle unioni gay alla famiglia naturale, rifiuta di considerare la tossicodipendenza una libertà e la cittadinanza un istituto automatico”. Una forza “che non candida pregiudicati e fonda la giustizia sulla responsabilità di chi ha potere sulla libertà delle persone”. Il che equivale dire sì alla responsabilità civile e alla separazione delle carriere per i magistrati, a regole ferree sui passaggi tra politica e giurisdizione, e a dire no ad amnistie e indulti “che vanificano la certezza della pena”. L’aggregazione immaginata dall’ex ministro per la gioventù propone “un modello presidenziale, procedure legislative snelle con meno parlamentari e senza i senatori a vita, una legge elettorale in grado di difendere il bipolarismo delle visioni del mondo, la scelta dei rappresentanti da parte dei cittadini, la governabilità tramite una legge contro i ribaltamenti di maggioranza. Ed è fondata su primarie e congressi a ogni livello e non sulle cooptazioni compiute sulla base dei sondaggi”. È questo il senso del cantiere ribattezzato “Officina per l’Italia”, orientato a creare una robusta maggioranza con cattolici, liberali, riformisti. E per questo preannuncia un appuntamento nazionale a ottobre “in un luogo altamente simbolico”.
Le adesioni al progetto
Un programma alternativo dunque a quello “contro-natura dell’esecutivo di larghe intese” e che riscuote condivisione in numerosi esponenti del centro-destra. A partire da Gianni Alemanno, per il quale “bisogna rilanciare un’economia che ogni anno regala 4 miliardi all’Ue senza ricevere trattamenti equi e in cui ormai nessun marchio di eccellenza è di proprietà nazionale. Altrimenti non deve essere un tabù la fuoriuscita dalla moneta unica”. L’esigenza di costruire un soggetto in grado di “promuovere una politica industriale alimentata dalla sovranità energetica come sta avvenendo negli Stati Uniti”, è rimarcata da Adolfo Urso. Il quale pone il requisito primario di “un terzo centro-destra, poiché le sue forze costitutive sono divenute tutte padronali e dinastiche”. Che il carisma del Cavaliere non sia più sufficiente per realizzare “il sogno di una destra matura, europea e liberale” è consapevole Giuseppe Cossiga, convinto della necessità di puntare su “un partito degli elettori” imperniato sulle primarie di tipo nordamericano, “concepite per scegliere e creare una leadership e non per far vincere una personalità decisa in partenza”. È su questo terreno, spiega Adriano Teso, che possiamo avere la forza di riformare “un paese ostaggio di corporazioni che trattano il governo come un bancomat, dove la Sicilia conta su 10mila forestali mentre il Canada ne ha 6.600, in cui lo Stato paga le pensioni dei più ricchi quando la Germania fornisce al massimo 2.800 euro di assegni previdenziali”.
Visioni laico-liberali rispetto a cui divergono alcuni degli interventi più applauditi. Magdi Cristiano Allam esorta a recuperare la piena sovranità monetaria per combattere “la desertificazione delle aziende che falliscono perché creditrici e non debitrici, nonché le visioni multiculturali, relativiste, filo-islamiste, immigrazioniste”. Olimpia Tarzia invita a valorizzare “tematiche cruciali come la vita da preservare a ogni costo, la famiglia come società naturale fondata sull’unione tra uomo e donna che viene scoraggiata e umiliata dalle leggi esistenti”. Pasquale Viespoli invoca l’abrogazione della riforma del Titolo V “che ha distrutto la nozione di Stato e interesse nazionale sull’onda velleitaria di una Repubblica delle autonomie”. Mentre Luca Gramazio, confermando la posizione del vecchio Movimento sociale, propone di accompagnare alla riforma semi-presidenziale un meccanismo di voto proporzionale con preferenze. Apparentemente sorprendente l’adesione manifestata da Oscar Giannino che “da fiero globalista liberista” vede possibilità di un percorso condiviso con il “popolo della destra”: “La riforma di uno Stato fondato sulla filosofia predatoria degli studi di settore e del redditometro; la promozione di un contenzioso tributario fondato su un giudice terzo che non dipenda dall’Agenzia delle entrate; una scuola e un’università imperniate sulla centralità di chi vi studia e non di chi vi lavora; un paese in grado di difendere i suoi militari all’estero”. Ma il percorso è immaginabile a una condizione: “Liberarsi dall’ipoteca di Berlusconi e dei suoi servitori”.