Domani mattina, alle 10.00, il Papa incontrerà il Clero romano nella basilica di San Giovanni in Laterano, la cattedrale del vescovo di Roma. Un luogo caro a Bergoglio, che fin dalla prima apparizione sulla Loggia delle benedizioni, il giorno dell’elezione, ha sottolineato l’importanza di essere capo della diocesi romana, “la chiesa che presiede nella carità tutte le altre chiese”. Un appuntamento importante e atteso, che Francesco ha voluto preparare in ogni suo aspetto. Non a caso, ha inviato al cardinale vicario, Agostino Vallini, il testo di una riflessione che l’allora cardinale arcivescovo di Buenos Aires scrisse cinque anni fa alla luce della V conferenza dell’episcopato latinoamericano di Aparecida.
Il ritorno ad Aparecida
Quel documento fu preparato da Bergoglio per i sacerdoti della sua diocesi, e oggi Francesco lo riutilizza per i preti di Roma. “L’identità del presbitero si definisce in relazione alla comunità, con due caratteristiche”, scriveva l’allora cardinale argentino: “In primo luogo come dono in contrapposizione a delegato o rappresentante. In secondo luogo, evidenzia la fedeltà alla chiamata del Maestro, contrapponendola alla gestione”. Il presbitero, prosegue il Papa, “appartiene al popolo di Dio, da esso è stato tratto, ad esso è inviato e di esso forma parte”. Chi non entra in questa comunione, scivola in una situazione esistenziale che porta “all’isolamento dell’io. La coscienza staccata dal percorso del popolo di Dio è uno dei maggiori anni alla persona del presbitero, perché colpisce la sua identità in quanto diminuisce parzialmente o selettivamente la sua appartenenza a tale popolo”. Chiaro, Francesco, anche quando parla degli “atteggiamenti nuovi” che il Documento di Aparecida chiede al parroco e ai sacerdoti: “La prima esigenza è che il parroco sia un autentico discepolo di Gesù Cristo, perché solo un sacerdote innamorato del Signore può rinnovare una parrocchia”. Al contempo, però, “deve essere un ardente missionario che vive nel costante anelito di andare alla ricerca dei lontani e non si accontenta della semplice amministrazione”.
Il programma pastorale di Francesco
È palese che queste parole, scritte nel 2008 e frutto dell’esperienza dell’anno precedente ad Aparecida, costituiscano uno dei punti cardine del programma pastorale del Bergoglio divenuto Papa. Il sacerdote che deve uscire da sé stesso, andare in periferia a sperimentare la propria unzione. Concetti che il Pontefice gesuita ha ripetuto più volte, in ogni circostanza pubblica e privata. Altrimenti, il rischio è quello di assistere alla burocratizzazione della chiesa, che diventerebbe una vuota ong piena di amministratori. L’opposto di ciò che Francesco vuole. Infatti, continuava nella lettera al clero di Buenos Aires, “nel concepire il ministero come un dono viene superato l’atteggiamento del funzionalismo e si comprende il lavoro apostolico, in questo caso la parrocchia, nell’ottica discepolo-missionario”. Parlava, ancora, dell’opzione preferenziale per i poveri, spiegando cosa intendesse con tale frase: “Che l’opzione per i poveri sia preferenziale significa che deve attraversare ogni nostra struttura e priorità pastorale. Chiesa compagna di strada dei nostri fratelli più poveri, persino fino al martirio”. Si delinea così, continua il Papa, “il profilo di un sacerdote che esce verso le periferie abbandonate, riconoscendo in ogni persona una dignità infinita”. Un indirizzo netto, finalizzato a evitare che “il pastore del popolo si converta in un chierico di stato, in funzionario”.
Un testo rivoluzionario
Il documento finale della V conferenza dell’episcopato latinoamericano di Aparecida è un testo fondamentale per comprendere il Pontificato di Jorge Mario Bergoglio. Lui stesso lo ha citato più volte, ricordando come Benedetto XVI “lasciò fare” i vescovi sudamericani, limitandosi a una supervisione finale. Un atteggiamento che il gesuita argentino ha apprezzato e sottolineato in più d’una occasione pubblica, anche prima di essere eletto al Soglio di Pietro. Francesco reputa quello scritto rivoluzionario, perché va al di là dei confini del continente sudamericano.
“La strada per parlare agli uomini”
E di rivoluzione parla, da storico che da più di quarant’anni studia il fenomeno religioso, Giovanni Miccoli sul Domenicale del Sole 24 Ore (il contributo è un estratto dall’introduzione del libro “Francesco. il santo di Assisi all’origine dei movimenti francescani”. Donzelli, Roma). “Al Francesco (d’Assisi, ndr) che ha scelto di “seguire Cristo e servire gli altri”, si associa il Francesco riformatore, che nella povertà, nell’abbandono di ogni trionfalismo e autoreferenzialità, indica alla Chiesa la strada per poter parlare agli uomini”. Anche Miccoli riconduce tutto all’America latina, quando scrive che “negli orientamenti pastorali che maturano in America Latina nel post concilio emergono tracce di una riflessione su Francesco d’Assisi che ne legge l’opera soprattutto nei termini di una riforma della Chiesa, con al suo centro, per essa, la scelta della povertà e l’opzione preferenziale per i poveri. Non credo si tratti di un fatto casuale”.