Skip to main content

Inno per un Sud non piagnone

Mezzogiorno

Pubblichiamo grazie all’autorizzazione dell’autore il commento del professor Federico Pirro uscito sul quotidiano l’Unità di oggi.

Ha ragione il Presidente Letta ad affermare alla Fiera del Levante che non riparte l’economia nazionale se non si rimette in moto il Sud. Ma bisogna intendersi bene su cosa significhi questa sua affermazione che qualche economista locale continua a interpretare (sbagliando) come un’allusione alla possibilità di poter destinare al Meridione risorse aggiuntive, oltre a quelle (residue) dei fondi comunitari 2007-2013, di cui peraltro bisogna completare l’impegno e la spesa nei tempi previsti, pena la loro perdita (secca). La Regione Puglia è in linea con le quantità e i tempi concordati per il loro impiego, ma regioni come ad esempio Campania e Sicilia sono in ritardo gravissimo, ma pochi lo denunciano.

Nessuna possibilità di fondi aggiuntivi

Allora, cominciamo col dire che fondi aggiuntivi per il Sud non ci sono, se è vero che il Governo fatica a reperire quelli necessari per non sforare il tetto del 3% del rapporto deficit/pil. Ma non ci saranno neppure in futuro, ed è bene che di questo si convinca qualche eterno postulante di quei fondi che continua, invece, a tacere su tutto quello che si potrebbe fare già oggi nel Mezzogiorno per mobilitare e valorizzare sino in fondo le grandi risorse e potenzialità di cui esso dispone.

Gli impianti del Sud al servizio dell’intera economia nazionale

Aggiungiamo poi che è necessario difendere in logiche di ecosostenibilità e al servizio dell’intera economia nazionale tutti i grandi impianti dell’industria siderurgica, petrolchimica, energetica e degli altri comparti manifatturieri (automotive, aerospazio, agroalimentare, Ict) che sono localizzati nel Meridione. L’acciaio dell’Ilva di Taranto serve all’intera industria meccanica nazionale, e lo stesso dicasi per la raffinazione petrolifera di Puglia, Sicilia, e Sardegna, per l’estrazione di greggio dalla Basilicata e dalla Sicilia e per quella possibile sfruttando i giacimenti sottomarini al largo delle coste dell’Italia meridionale, ritenuti probabili dal Ministero dello Sviluppo in specifiche aree di esplorazione. Al riguardo, se si sfruttassero tali giacimenti di gas e petrolio, si potrebbe attivare uno sviluppo di impiantistica marina con costruzione e manutenzione di piattaforme simile a quello di Ravenna, ma l’estremismo ecologista dice di no all’estrazione petrolifera in Adriatico e nello Ionio. Appartengono inoltre all’economia del Paese i progetti dei rigassificatori di Porto Empedocle dell’Enel e di Gioia Tauro di Sorgenia, autorizzati soltanto dopo lunghi anni di ostacoli e di iter procedurali defatiganti.
Ma di tutto questo gli economisti eterni postulanti di fondi aggiuntivi per il Sud non dicono mai nulla. Perché?

Energie rinnovabili, banche popolari e settori chiave dimenticati

Appartengono inoltre all’intero Paese le energie rinnovabili prodotte nelle assolate e ventose regioni meridionali, così come la grande portualità da Gioia Tauro a Taranto anche se i lavori in quest’ultimo scalo, pur finanziati e autorizzati si concluderanno solo fra qualche anno.
E che dire poi di alcune Banche popolari nate a Bari, in Puglia e in Basilicata e che nell’ultimo decennio sono cresciute anche in diverse regioni del Nord? Perché la loro fusione – che ora parrebbe auspicata dalla stessa Banca d’Italia – non è già avvenuta da alcuni anni, come è accaduto per i grandi Istituti di credito del Nord, dal San Paolo alla Commerciale per finire al Credito Italiano? E perché non si è riusciti sinora a fare massa critica nel Sud e in Puglia fra imprese di tanti comparti, ove pure sarebbe possibile raggiungerla, costituendo così alcuni fra i maggiori produttori nazionali in determinati settori, dall’agroalimentare alla meccanica?

Il Sud deve cambiare se stesso

I fondi comunitari – ma anche quelli dei Fondi Sovrani – per partire vi sono e non v’è bisogno di fondi aggiuntivi pubblici, comunque inesistenti. Ma deve cambiare (radicalmente) la mentalità di tanta parte del Mezzogiorno, ove – è bene non dimenticarlo – anche le maggiori testate della stampa quotidiana devono la loro esistenza (e sopravvivenza) a capitali di grandi gruppi imprenditoriali del Centro-Nord e di qualcuno del Sud insulare.
Insomma, vogliamo finalmente diventare adulti nel Sud? O dobbiamo sempre coltivare il mito di Peter Pan? Allora ha ragione Letta sempre alla Fiera del Levante quando, citando il Presidente Napolitano, sottolinea le gravi responsabilità delle classi dirigenti del Mezzogiorno che ormai non hanno più alibi nello scenario della globalizzazione, del fiscal compact e della spending review. Lo vogliamo comprendere una volta per sempre?

Federico Pirro 

Università di Bari


×

Iscriviti alla newsletter