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Ritornare a Camaldoli per capire le radici dell’economia mista

Tra il 18 e il 24 luglio 1943, alla vigilia del crollo del regime di Benito Mussolini, un gruppo di intellettuali e laureati cattolici per lo più ostili al fascismo si riunirono per un seminario di studi nel monastero benedettino di Camaldoli in provincia di Arezzo. Concepito per discutere di problemi sociali, economia, finanziari secondo gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa e dell’Enciclica “Rerum Novarum” di Leone XIII e ispirato dal radiomessaggio natalizio del 1942 di Pio XII che invocava “l’avvento della pace e la reintegrazione dell’ordine giuridico”, il convegno costituì un giacimento culturale a cui avrebbero attinto gli esponenti di spicco del popolarismo italiano impegnati nella creazione della Democrazia cristiana. Il Codice che prese il nome dall’abbazia toscana fu l’approdo e il condensato di un lavoro cruciale per l’elaborazione delle strategie che avrebbero guidato il processo di di Ricostruzione.

Una fucina di idee a cavallo tra mondo ecclesiale e impegno politico

L’intuizione e l’organizzazione di quelle giornate di studio deve essere attribuita a personalità della Santa Sede ed economisti formati nella temperie culturale degli anni Trenta: il sacerdote di Brescia Giovan Battista Montini, il vescovo di Bergamo e assistente nazionale dei laureati dell’Azione cattolica Adriano Bernareggi, il presidente dell’Istituto cattolico di attività sociale Vittorino Veronese, gli studiosi Sergio Paronetto, Ezio Vanoni, Pasquale Saraceno. Figure nevralgiche nella strategia della prima Dc per un forte intervento pubblico nel mercato, per lo sviluppo del Mezzogiorno, per l’organizzazione di un regime fiscale equo e moderno.

Recuperando l’esperienza del Codice redatto a Malines nel 1927 ad opera dell’Unione internazionale studi sociali presieduta dal cardinale Désiré Mercier e richiamandosi al pensiero di Jacques Maritain, il Protocollo riguardava la dignità della persona e il suo primato sullo Stato, l’eguaglianza dei diritti individuali, il bene comune, la laicità delle istituzioni, la giustizia distributiva e la solidarietà sociale, il ruolo della politica e dei partiti come garanti di democrazia e giustizia, la funzione pubblica della proprietà. Alternativo al massimalismo collettivista e al liberismo individualista, il testo prefigurava un’economia mista in cui lo Stato interviene nella gestione del mercato per regolamentarlo controllando la redistribuzione della ricchezza. Un progetto ambizioso che andava oltre la partecipazione dei lavoratori ai profitti dell’impresa teorizzata da Giuseppe Toniolo a fine Ottocento e risentiva dei riflessi dell’industrializzazione di massa, della crisi del 1929, del “New Deal” di Franklin Delano Roosevelt.

La Dc di Alcide De Gasperi fa propri gli enunciati del Codice 

A quel documento Alcide De Gasperi guarderà per costruire negli stessi mesi “un partito di centro che guarda a sinistra” coniugandone il contenuto con la propria natura cattolico-liberale. E prevalendo sulla visione integralista-sociale del vice-segretario della Dc Giuseppe Dossetti che mirava a un ruolo assolutamente preminente dello Stato nella gestione dell’economia. Fu la sintesi compiuta dallo statista trentino, con la riflessione promossa contemporaneamente da Amintore Fanfani, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, a favorire il travaso dei principi elaborati nel monastero aretino nella Carta costituzionale del 1948 e a plasmare il modello economico italiano con le sue virtù e i suoi limiti. Sulle pagine del Sole 24 Ore lo storico Valerio Castronovo mette in risalto “il valore del Codice di Camaldoli nel realizzare a partire dal 1949, grazie al Piano Marshall, i piani per l’edilizia popolare e lo sviluppo delle opere pubbliche, la riforma agraria e l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, il rilancio dell’IRI e la creazione dell’ENI. E nel consolidare un’economia mista rimasta in vita fino all’epilogo della prima Repubblica. Una stagione riformista che pose le premesse del miracolo economico e dell’adesione alla Comunità economica europea”.

Il significato del convegno della Link Campus University

A settant’anni di distanza la Link Campus University di Roma vuole ricordare e approfondire l’eredità dello storico convegno, a cui lo stesso Papa Francesco ha dedicato una speciale attenzione. Lo farà domani mattina nella sede di Via Nomentana con un seminario dal titolo “L’invenzione dell’economia pubblica italiana. La capacità di immaginare il futuro per economia e società, da Camaldoli alla Costituzione, dallo Schema Vanoni ai Trattati di Roma”. Al seminario interverranno tra gli altri Vincenzo Scotti, Piero Barucci, Francesco Forte, Giuseppe Sangiorgi, Giorgio La Malfa, Francesco Paolo Casavola, Gennaro Acquaviva, Giuseppe Parlato, Piero Craveri, Cesare Mirabelli, Adriano Ossicini, Renato Balduzzi, Benedetto Ippolito.



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